A noi due

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La mattina seguente mi svegliai super affannata. Come prevedibile, non avevo dormito in modo eccellente.
Mi alzai per fissare lo specchio, e mi resi conto che le occhiaie erano più pronunciate del solito.
Infilai una felpa azzurra e dei jeans, e fui fuori dalla porta con lo zaino in spalla.

Arrivai all'università in tempo - non accadeva mai - e in giardino riconobbi una faccia familiare. Era Augusto, con il mazzo di rose rosse piu grande io avessi mai visto.

Si avvicinò a me, e io arretrai.
"Perdonami per ieri sera" disse, il viso contratto. "Mi spiace sul serio. Ho reagito male, le partite stanno andando terribilmente, ho lasciato che mi annebbiassero la mente. Non avrei dovuto."

Lo guardai. Era la prima volta che ricevevo dei fiori, per giunta dei fiori così. E pensai di non perdonarlo, per qualche istante. Ma non fui in grado: non fui in grado di rinunciare a quello che potevamo essere. Perché Augusto era reale, Augusto era là e voleva me. Non potevo continuare a rincorrere sogni impossibili. Leo sarebbe stato via con Camilla fra un paio di giorni, e io avrei rimpianto non aver dato una seconda chance al moro davanti a me.

"Che gentile. Ti ringrazio" dissi, e lo abbracciai.
"Mi perdoni?" Fece lui, guardandomi.
Risi. "Certo"

Lui sorrise.
"Giuro che non accadrà più" mi sussurrò, vicino all'orecchio. Mi chiesi se stessi sbagliando, a dargli un'altra chance. Tentai di valutare come mi sentissi fra le sue braccia, ma la verità che è ero spenta. Ero così vuota dopo la sera precedente. Ero così delusa da me stessa, così triste.
Mi liberai dalla sua stretta poco dopo, ricordandomi di voler tornare in classe presto. Un po' ero dispiaciuta all'idea di doverlo lasciare così dopo un gesto così romantico. "Augusto" iniziai, "devo proprio andare, ho lezione" spiegai.

Lui mi guardò, con gli occhi caffè profondissimi, e per un attimo ebbi modo di ammirarlo. La mandibola delineata, la pelle così liscia.

Prese parola subito dopo: "Capito. Sicuramente non darai nell'occhio, con un mazzo così" disse, ironizzando.

E infatti, la previsione non fu sbagliata. Tutti gli occhi furono su di me quando entrai in aula per il laboratorio di chimica, e dibattei l'idea di tornare a casa solo per posare il mazzo. Ma era già troppo tardi. Presi posto e lo appoggiai sul tavolo accanto.

La lezione iniziò poco dopo, seguita dall'arrivo di Leo ben 15 minuti dopo.
Aveva un maglione beige e dei jeans blu scuro, il colletto della camicia che spuntava, storto - probabilmente si era vestito in fretta - e che sul retro veniva appena toccato dai capelli, arruffati dalla corsa.

Lui finì per prendere posto vicino a Edo, e ci volle grande forza di volontà per non fermarmi a fissarlo ancora di più. Per non pensare all'incantevole riflesso dorato che assumevano i capelli colpiti dalla finestra che dava sul giardino.

Inutile dire che lui, d'altra parte, mi aveva guardata per una frazione di secondo, solo perché aveva guardato la mia sezione di classe, per poi ignorarmi bellamente. In effetti, non ero neanche certa avesse registrato la mia presenza, e in quel momento era preso da una conversazione con Edoardo, nonostante il professore fosse stesse richiamando l'attenzione sulle reazioni che avremmo dovuto eseguire.

Accolsi il cenno di Marta, la ragazza della sera precedente, che mi chiese di essere in coppia con lei per gli esperimenti. Quando ci eravamo presentate ieri mi ero resa conto fosse del nostro corso, ma non avevamo ancora avuto modo di conoscerci. Fui grata di averla con me in quel momento, e non di dover concentrarmi su Leo.

Prendemmo parte agli esperimenti, e presto fummo entrambe annoiate. Dopo la lezione, ci sedemmo sull'erba per parlare un po'. Mi raccontò della sua casa in città che aveva trovato dopo mesi di ricerca, di Riccardo e delle sue partite, argomento che mi portò decisamente alla nausea, visto che mi ricordava troppo un certo romano che volevo ignorare. In generale ammetto non fosse facile parlare con lei. Mi ricordava troppo il torneo di calcio.
Le chiesi di allontanarmi un attimo. Dovevo andare in bagno, ma più che altro dovevo rimanere un attimo lontana da lei e dai discorsi sulla squadra.

Provai ad avviarmi verso la porta del bagno, ma sentii qualcuno tirarmi.
Era Leo. Leo mi stava tirando il braccio. Mi voltai ed era là. Leo. Leo con i capelli arruffati, e le occhiaie. Sentii il fiato mancarmi, come sempre. Era così bello, anche col viso stanco. Era così bello, anche se per me poteva essere solo un sogno. Un sogno ridicolo e inutile. Mi fece un cenno e fui trascinata in una delle anticamere che portavano alle scale, o meglio, lo seguii io, ed il perché ancora non me lo spiego. Non ero in grado di stargli lontana, pur provandoci. Quando ci ritrovammo quasi nella penombra, mi resi conto fosse molto più alto di me, e fui costretta ad alzare la testa per guardarlo. Aveva le sopracciglia aggrottate, lo sguardo torvo. "Sei stata con Augusto, ieri?" disse, e sospirò, guardando il giardino dalla porta di legno, oltre le mie spalle.
Non cercava il mio sguardo come le altre volte. Mi parve così strano quell'interesse, e mi chiesi se ci fosse altro. Se fosse realmente interessato alla faccenda perché Augusto era il capitano della strada, o se fosse interessato alla questione perché riguardava me.

Mi rimproverai poco dopo. Non era possibile che tentassi ancora di autoconvincermi come una bambina che fra noi ci potesse essere qualcosa. La lezione di ieri sera doveva bastarmi. Dovevo andare avanti e non pensarci più.
Alzai la testa. "Si" Mi sforzai di sembrare il più decisa possibile.
"Perché" chiese lui, ma suonava più come un'affermazione che una domanda.

Strinsi le labbra. Non sapevo perché, ma odiavo il modo in cui me l'aveva chiesto. Come se gli fosse dovuta una risposta.
"Non deve interessarti" dissi, perché non potevo mostrarmi debole. Non potevo fargli capire cosa mi faceva.
"Certo che mi interessa. Soprattutto se sono io quello a porre rimedio ai suoi errori." disse, continuando a fissare la luce oltre la porta. Era arrabbiato, lo sapevo. Questo era un Leo che non avevo mai visto. Ero così poco abituata a vedere emozioni su quel volto, che non ero in grado di interpretarle quando ne mostrava.
Lo sapeva? Qualcuno gli aveva detto del diverbio fra me e Augusto ieri sera? O forse l'aveva intuito?

Ecco che mi aveva ricordato di quanto mi fossi sentita inadeguata ieri sera, con lui in macchina. Ricordai i messaggi di Camilla, il modo in cui Augusto mi aveva lasciata da sola.
Mi sentii gli occhi lucidi. Piangevo sempre in situazioni assurde. Non so perché fosse così. Ma quella volta dovevo resistere. Non potevo rendermi ridicola.

E così, mi sentii una mano sulla guancia. Grande, pesante, ruvida alle estremità, e molto più calda rispetto alla mia pelle di ghiaccio. Se solo guardarlo mi toglieva il respiro, quel gesto mi fece ipotizzare di essere morta in quel momento. Le cose che sentivo per lui erano indescrivibili. Non potevano accadermi in quel momento, pensai. Nessuna delle altre ragazze ne parlava così, dell'amore. Ma io lo sentivo diversamente, forse. Certe volte credevo di sentirlo in modo più intenso.

Schiuse le labbra, i capelli mogano colpiti dalla luce proveniente dal giardino. Quell'odore di muschio mi offuscò i sensi. Perdevo i sensi quando stavo con lui, o forse sentivo tutto di più. Forse entrambe le cose. Si avvicinò così tanto che sentii i capelli sfiorarmi la fronte, poi si fermò. Il suo respiro sul mio era una cosa che ricordavo vagamente. Non credevo sarei arrivata a sentirlo un'altra volta. Non può essere reale, pensai. Questo è un semidio. C'era qualcosa di soprannaturale nel modo in cui mi prendeva.

Alzai lo sguardo. E poi accadde tutto in un istante. La sua mano si spostò fra la mandibola e il collo, sono sicura potesse sentire la giugulare pulsare. Forse lo fece per quello. Per capire se avessi il batticuore. Non so se considerarlo così furbo. Mi guardò per un secondo, e poi accadde tutto in un istante. Le sue labbra furono sulle mie e io sentii le mie spalle avvicinarsi alla parete ruvida. Ero premuta contro la parete dalla mano che aveva sul collo, e l'altra che aveva spostato sui miei fianchi. Avevo sospettato che non avesse mai avuto ragazze - per il modo assurdo in cui mi trattava, che lo faceva sembrare impacciato o forse semplicemente un ottimo stratega, non riuscivo a capirlo - ma quel momento mi fece vacillare. Il modo esperto con cui mi spinse faceva pensare ad anni di pratica. O forse fu l'istinto a prendere il sopravvento.

Rimanemmo attaccati per un lasso di tempo che non riesco a definire. Mi strinse a sé, prendendomi per la vita, ed io mi avvinghiai a lui come se fosse ossigeno e io fossi in apnea. Sembravano ore e secondi, non lo so. Si muoveva in modo quasi primitivo, dettato dall'urgenza di sfiorarmi, ma risultava comunque delicato.
Non riuscì a resistere più di così: dovevo staccarmi. Avevo un casino in testa, e troppe cose da risolvere. Lui sarebbe partito con Camilla, e questo bacio non avrebbe avuto motivo di esistere. C'era un mazzo di rose sul banco ad aspettarmi, e non era il suo. Gli appoggiai le mani sul petto, e lo spinsi via.
Stavo tremando, sotto di lui. Credo se ne accorse. "Hai freddo?" Disse, allontanando le mani dal collo e i fianchi. Ma non ci fu il tempo di chiarire. Arrossii, credo, improvvisamente cosciente del fatto che fossimo in università e coperti solo dalla penombra della stanza. Sperai nessuno ci avesse visto. Poi scattai fuori dalla porta. Pregando di dimenticare tutto.

Bella come RomaOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz