Capitolo 15. Un affare complicato

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CAPITOLO 15

UN AFFARE COMPLICATO


Sicilia, Isola di Santo Stefano

Luglio 2015


Calogero si rivelò essere un ristorante sulla spiaggia. Da un lato affacciava sulla litoranea che costeggiava il mare e serpeggiava intorno all'isola abbracciandone l'intero perimetro, dall'altro su una breve striscia di sabbia e sassi. Era l'unica spiaggia di Santo Stefano che Vittoria aveva visto fino ad allora che non fosse completamente rocciosa. Il ristorante era una struttura di legno bassa, su un solo piano, dipinta di un giallo e un azzurro allegri e intensi. Dava l'impressione di essere un posto semplice, ma quella vicinanza al mare lo rendeva spettacolare. Dalla strada Enrico condusse la sua BMW nel parcheggio adiacente al ristorante, sotto una tettoia che proteggeva le auto dal sole cocente.

«È il miglior ristorante di pesce di tutta l'isola. E anche fuori da Santo Stefano. Ho provato tanti posti, ma Calogero unico è» spiegò Enrico. Spense piano il motore.

Vittoria aprì la portiera, un po' esitante. Un ristorante di pesce? E adesso cosa avrebbe dovuto fare? Valutò in fretta le sue possibilità e scoprì che ce n'era soltanto una. Non voleva rovinare quel pranzo per niente al mondo, ma non poteva neanche nascondere il cibo nel tovagliolo e gettarlo via. Si morse il labbro per un attimo.

«Wow. È molto bello. Non vedo l'ora di assaggiare il suo... menù vegetariano.» Forse avrebbe potuto trovare un modo migliore per dirlo, ma ormai era fatta.

Enrico si bloccò mentre scendeva dalla macchina, metà dentro e metà fuori, una mano ancora sul volante e l'altra sulla portiera spalancata. La fissò. Non sembrava arrabbiato o seccato. La sua espressione, mezza nascosta dagli immancabili Rayban, era difficile da leggere. Vittoria gli fece un sorriso tenue di scuse e intanto desiderava che l'asfalto bollente del parcheggio si aprisse all'istante e la inghiottisse. Aveva rovinato tutto. Era andata così bene fino a quel momento. Lui ci mise qualche istante a riordinare le idee e quando parlò la sua voce suonò incolore.

«Avrei dovuto chiedertelo.»

Lei fece un gesto noncurante con la mano. «Non c'è problema. Avranno un'insalata, no?»

«Hanno un menù vegetariano» rispose lo zio, chiudendo la portiera. Si incamminarono verso l'ingresso. «Calogero è un tradizionalista, per quanto riguarda la cucina. È stato suo nonno, un altro Calogero, a creare questo posto. Ma si è adeguato ai tempi.» Parlava a testa bassa, senza incrociare lo sguardo di Vittoria. Lei si chiese se ci fosse rimasto così male. Non le sembrava tanto grave, eppure era cambiato qualcosa nell'aria, tra di loro. «Da quanto sei vegetariana?» le domandò lui all'improvviso, dopo una pausa.

«Da quando avevo nove anni e uno dei miei insegnanti ha fatto vedere alla classe un video sugli allevamenti di animali intensivi» spiegò Vittoria, mentre salivano due gradini e varcavano l'ingresso del ristorante. Sulla porta a due battenti di legno bianco stazionava l'insegna "Da Calogero", una scritta gialla su sfondo azzurro. Più avanti un'altra porta, a vetri smerigliati, dava accesso alla sala.

Enrico contorse il viso in una smorfia. «Non mi sembra una grande idea.»

«Non lo è sembrata neanche a molti genitori» fu il neutro commento di Vittoria. Dopo aver visto il documentario, non aveva dormito per settimane, tormentata dalle immagini sanguinarie e violente. Ebbe la sensazione che lo zio stesse per scoppiare a ridere, poi qualcuno si avvicinò a passo svelto.

«Dottor Falconeri, qua siete! Che piacere! Buongiorno!»

Era un uomo tra i sessanta e i settanta, che aveva parlato con un accento siciliano anche più pesante di quello di Edoardo, come se masticasse e storcesse le parole nella bocca. Era basso, con la pancia prominente sotto il grembiule bianco legato in vita e un'espressione gioviale negli occhi scuri, sotto un ciuffo di capelli sale e pepe.

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