Capitolo 8. Il filo sospeso

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CAPITOLO 8

IL FILO SOSPESO


Sicilia, Isola di Santo Stefano

Luglio 2015


Vittoria staccò le dita dal pianoforte, mentre l'ultimo accordo di un brano tratto dalla colonna sonora della Città incantata si spegneva nell'aria. Si sgranchì le mani. Mentre riacquistava consapevolezza del mondo intorno a lei e del suo stesso corpo si accorse che aveva un crampo alla mano destra, un dolore sordo che lentamente diventava bruciante. Le succedeva spesso, quando suonava così a lungo da perdere la cognizione del tempo. Doveva essere seduta al piano da quasi un'ora, senza avvertire nulla se non le note che la circondavano e la sensazione dei tasti sotto le dita. Adesso, di colpo, sentiva tutto insieme: il dolore che le aggrediva la mano, molta sete, un po' di fame e un gran bisogno di sgranchirsi le gambe. Era sempre così. Il ritorno alla realtà non era piacevole.

Si alzò e fece qualche passo nel salotto del baglio. Si avvicinò a una vetrina in un angolo che ospitava una collezione di porcellane dipinte: un giovanissimo pescatore con un pantalone rosso che trasportava una cesta di pesci, una lavandaia dal sorriso lezioso, due ninfe tra i fiori. Intanto eseguiva alcuni piccoli esercizi di stretching con la mano destra e il dolore si attutiva lentamente, ma aveva comunque bisogno di una pausa.

Era lunedì mattina ed era il terzo giorno che trascorreva lì a suonare. Suo padre la accompagnava sempre e mentre lei era al piano lui lavorava. Quando poi Vittoria saliva a salutare Edoardo, la scortava sulla terrazza dove il vecchio passava le giornate guardando il mare, come una silenziosa, impassibile guardia del corpo. In quei tre giorni, Vittoria era riuscita a scambiare qualche parola di poco conto con il nonno, ma nulla di più. Non era più vicina al suo obiettivo di quando si trovava a Milano. Edoardo stava troppo male per parlare a lungo e la presenza di suo padre era un ostacolo: non poteva fare domande scomode davanti a lui, che le evitava da quindici anni, con i suoi occhi attenti che le perforavano la schiena. Vittoria era delusa e, da come suo padre la guardava, si rendeva conto che lui lo capiva, sebbene non facesse commenti. Eppure, se anche Edoardo fosse stato più in forze e Stefano non fosse stato sempre presente, doveva ammettere che non avrebbe saputo da dove cominciare. Iniziava a pensare che non sarebbe stato affatto semplice, che forse era impossibile. Con un sospiro passò nella sala da pranzo e uscì sul ballatoio.

Stefano era seduto a un tavolo circolare di ferro battuto che Rosalia aveva fatto portare lì perché avesse una postazione di lavoro. Aveva il Mac aperto davanti a sé, scorreva un grafico colorato con il mouse incorporato e intanto parlava al telefono con voce sommessa. Vittoria fece un mezzo sorriso. Le ferie per lui erano sempre state un concetto nebuloso: anche quando era in vacanza con la famiglia, si portava dietro il computer e il tablet e trovava il modo di lavorare un po'. Le era capitato spesso di alzarsi di notte per bere un bicchiere d'acqua e trovarlo al computer. Eppure non toglieva mai neanche mezz'ora di tempo a lei e a sua madre. Faceva in un'ora quello per cui i suoi colleghi impiegavano giorni e Vittoria non ricordava che le avesse mai detto di no quando lei gli chiedeva di guardare una serie tv insieme o di andare a mangiare un gelato. Si avvicinò al tavolo e Stefano le rivolse un sorriso rapido senza smettere di parlare al telefono.

«L'affare Durings era praticamente già nostro. Sarà chiuso tra dieci giorni al massimo e avremo raggiunto gli obiettivi» disse con tono tranquillo. Una breve pausa. «Sì, Alessandra, ho sentito Patrick» continuò e la sua voce cambiò appena, impercettibilmente. Vittoria capì che stava parlando con Alessandra De Angelis, il CEO italiano della banca. Era una specie di grande capo ed era una buona amica di suo padre: si davano del tu, prendevano il caffè insieme e organizzavano cene con le rispettive famiglie. «Ma non so quanto sia utile: insomma, è il risk manager, ma ha deciso che non vuole rischiare. È come se un ristorante vegano mettesse bistecche sul menù: non sta facendo quello che dovrebbe fare.»

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