13 Pianeta Insaguinato - Karter

5 3 2
                                    


𝄞 Rewrite The Stars Daniel Jang

«Ho sentito dire che hai preso il posto della rossa.» Sentii la voce di Parker alle mie spalle.
«Immagino che questo, per te, sia motivo di godimento», risposi voltandomi a guardarlo.
«Non mi importa di lei», grugnì infastidito.
Io risi sarcastico e scossi la testa. «Cazzate!»
Parker si fermò a pochi passi da me. «Non puoi ignorare il fatto che tu sia nato per brillare e lei no.»
«Chi ti ha dato questa illuminazione?»
«Il mondo intero, Karter. Tu sei così...»
«Così come?»
«Speciale.»
«Ed è per questo, perché sono speciale, che sei sparito senza dire niente?»
Parker emise un rantolio, abbassando lo sguardo. «Ti ho lasciato in buona compagnia.»
«Era la tua compagnia che volevo.»
«Non sembrava, cazzo!» esplose severo. Mi puntò con i suoi occhi magnetici e mi spinse contro la parete buia del backstage. «Non hai idea di quanto vorrei essere Joanne, a volte. Non smetti mai di preoccuparti per lei e le stai sempre incollato, come se ne valesse della tua vita. E poi, diamine! Vi guardate in un modo che...»
«Sei geloso, vedi quello che non c'è!»
«Sì, sono geloso», ammise per la prima volta. «E ho tutte le ragioni per esserlo.»
Mi passai le mani sui capelli, frustrato. «Il problema non è lei, ma tu. Sei tu che non fai altro che respingermi.»
«Non importa», disse sollevandomi il mento con due dita. «Non sparirò più senza dire niente.»
Inarcai un sopracciglio. «Mi stai chiedendo scusa?»
Parker ruotò gli occhi e sorrise. «Sì.»
Gli misi le mani ai fianchi e lo attirai a me con un gesto netto e deciso. Lo baciai e mi persi nel suo sapore buono. Parker era una testa di cazzo e io mi stavo innamorando di lui.
Avevo sempre preso in giro l'umanità per essere stupidi nel provare un sentimento così inutile e debole come l'amore. In fondo è proprio quello che ci rende vulnerabili e ci distrugge, prima o poi. Le promesse non durano a lungo e il per sempre è una cazzata che si dice per non pensare a quando tutto finirà. Io non volevo un per sempre con Parker. Volevo il qui e ora.
«Sei pronto?» soffiò sulla mia bocca.
«Non esattamente», ammisi con il fiatone. Quel bacio mi aveva tolto il respiro. Lui mi aveva tolto il respiro.
Uccidimi di baci.
Parker mi afferrò il viso con le mani e premette la fronte sulla mia. «Non è colpa tua.»
«Non voleva venire. Sono stato io a supplicarla.» Mi sentivo in colpa e non potevo farci niente. Inoltre, quello che era successo quando l'avevo riportata nella sua stanza alla residenza mi aveva spiazzato. Era ubriaca fradicia e poteva non avere alcun significato, ma non riuscivo a smettere di pensarci. Non avevo avuto il coraggio di parlarne e lei sembrava non ricordare nulla del bacio che mi aveva strappato, era stato solo un momento, anche se lei aveva provato a ottenere più di quanto avesse mai fatto; avrei fatto meglio a dimenticare anche io. Dovevo farlo.
Parker mi respirava addosso e mi accarezzava i capelli, tranquillizzandomi. «Non è stata obbligata a sgolarsi su quel palco, Karter. Smettila di sentirti responsabile per qualunque cosa le capiti nella vita.»
«Il biondino ha ragione.»
Sentii una voce metallica provenire da dietro Parker e allungai lo sguardo, scoprendo Joanne con il cellulare in mano e un sorriso timido sulla bocca.
«Ti sei attrezzata per imitare Bender?» la presi in giro.
Parker fece un passo indietro e si posizionò di lato.
Joanne digitò velocemente sui tasti e aziono la riproduzione audio. «Chissà, magari come doppiatrice ho più fortuna.»
Mi avvicinai a lei e la strinsi a me. «Tu sei nata per cantare», le sussurrai all'orecchio.
Lei lasciò la presa su di me e mi accarezzò una guancia. «Non direi.»
«Questo è solo un piccolo inconveniente, lo sai anche tu.»
«Può darsi. Ma tu sei così brillante che il cielo ha paura e se ora non sali su quel palco, finirai con l'accecarci e il distruggerci tutti.» Utilizzò ancora una volta il telefono per parlarmi.
«So di essere una stella», ghignai lisciandomi il bomber nero che avevo scelto per l'occasione. «D'altronde, già da quando sono nato ho dato concerti per notti intere», ridacchiai ripensando ai video che mio padre teneva conservati in una scatola in garage. Aveva registrato ogni tappa della mia crescita in video messaggi per me e la cassetta 0-1 era davvero la migliore. Strillavo così forte da sembrare un tenore a teatro.
«Quindi sei sempre stato così rompicoglioni?» commentò Parker, con un sorriso.
«Tesoro, potrei stupirti di quanto lo posso diventare se voglio qualcosa», ammiccai strizzandogli una natica. «E per la cronaca, voglio te», abbassai il tono di voce e mi allungai fino alla sua spalla così che solo lui potesse sentirmi.
Parker mi spinse e si grattò il naso, imbarazzato.
«Sono felice di avervi qui, tutti e due», dissi passando un braccio sulle spalle di Parker e uno su quelle di Joanne. Lasciai un bacio sul naso a lei e premetti la bocca su quella di lui, proprio nel momento in cui annunciavano la mia esibizione.
Recuperai il mio Stradivari e incrociai le dita, baciando il punto dove si incrociavano.
Joanne imitò il saluto militare e si mise in posizione di riposo, cacciando fuori una linguaccia. Era il suo modo di augurarmi buona fortuna.
«Siete voi, la mia fortuna», sussurrai posizionandomi l'archetto sulle orecchie.
Mi spinsero contro il tendone rosso che si spalancò per me.
Mio padre era in prima fila, con il suo completo impeccabile e i capelli impomatati, lo salutai agitando una mano e seguii il programma prestabilito, sistemando il violino sul piedistallo e afferrando il microfono con i glitter blu di Joanne. Lo aveva lasciato a disposizione, nonostante non potesse esibirsi. Mi guardai indietro per ringraziarla ma la tenda era stata già tirata e il backstage non mi era più visibile. Cantai il medley dei tre brani che aveva scelto lei, suscitando partecipazione e trasporto da parte del pubblico. Adoravo stare al centro dell'attenzione e soprattutto la sensazione di essere a capo di un'orda di persone che erano lì con il mio stesso obiettivo: divertirsi. Buttai qualche passo di danza qua e là, tra un brano e l'altro, stringendo l'asta e trascinandola come un manichino per tutto il palco, mentre mi esibivo.
Sorrisi gioviale e ringraziai, riprendendo fiato con un sorso d'acqua, prima di riprendere in mano il mio strumento. L'archetto toccò le corde del violino e i lampadari si spensero lasciando le luci stroboscopiche a rincorrersi colorate in maniera lenta ma decisa.
Abbassai le palpebre e mi lasciai trasportare dalla musica nel mio pianeta insanguinato. Avevo composto quella melodia pensando a lei: mia madre. Riuscivo a esserle vicino solo nel modo che più faceva male. Ma ero lontano e più andavo avanti, più sentivo quella lontananza farsi pesante. Nutrivo i miei dubbi con le note che scrivevo e ricancellavo sui pentagrammi. Sfamavo la mancanza sentendo le note prendere vita sotto tutto quella distruzione.
Perché mi hai lasciato?
Continuai a premere le dita sulle corde e a muovere l'archetto come sapevo fare meglio, finché la mia musica fu l'unico suono che udii, mischiato ai battiti del mio cuore. Quel cuore che batteva dentro un'altra persona, vent'anni fa.
Pensavo a lei con più frequenza del dovuto, ultimamente, e non mi piaceva affatto; ma, se non altro, era utile alla mia arte. Era la parte peggiore di me e si trasformava in quella migliore, non appena tornavo alla realtà.
Quella sera, quando riaprii gli occhi, mi ritrovai a fissare una patina di lacrime che bruciavano contro le orbite. L'esplosione di applausi mi permise di ricacciare tutto indietro con un inchino e qualche ringraziamento. Sgusciai fuori dal palco il prima possibile e cercai una testa rossa in mezzo alle altre, mentre conservavo lo Stradivari nella sua custodia.
Parker mi afferrò da dietro, accarezzandomi uno zigomo umido con la punta del naso. «Sei stato superlativo.»
«Dov'è lei?» chiesi, tirando su col naso.
Lui sospirò e mi abbracciò. «Stavolta non sono io a essere scappato.»
Mi aggrappai a lui, alla sua maglietta. «Ti ha detto dove andava?»
«No.»
Mi asciugai le lacrime con i polsini del bomber e presi lo Stradivari, correndo fuori dal teatro.
Parker mi venne dietro. «Vuoi spiegarmi?» strillò.
«Non sarebbe andata via, non senza avermi salutato.»
«Avrà mal di gola, o qualcosa del genere. E poi, come pensi che stia dopo aver assistito alla tua standing ovation?» Mi acciuffò per una manica e nel farlo il mio prezioso violino stramazzò a terra. La custodia si spalancò, lasciandolo scivolare qualche metro più avanti.
«Cazzo, Parker!» sbottai. «Tu non la conosci come la conosco io. Non sai niente di lei.» Raccolsi il violino senza curarmi di controllarne i danni e lo infilai nella custodia, ancora una volta. «Ti ringrazio per esserci stato, ma adesso ho bisogno di lei.»
Parker si bloccò e fece qualche passo indietro.
«Non è come pensi tu», specificai.
Lui non rispose e si voltò, fino a scomparire del tutto dalla mia visuale. «Merda!»

Firts Girly LoveWhere stories live. Discover now