1. Rima Baciata - Karter

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𝄞 Artemis - Lindsey Stirling

«Puzzi di fritto!»esclamai spingendo Joanne da un fianco.
«Ho passato le ultime tre ore a friggere patatine e guarnire panini», rispose lei, piazzandomi il mio piatto davanti. «Non è necessario che tu faccia MrOvvio», sbuffò.
«Non puoi che ringraziare te stessa, per questo», le ricordai prendendo una manciata di patatine. Quelle che faceva Joanne erano le più buone del mondo, mai troppo unte e croccantissime.
Passavo i sabati sera in quella bettola di fast food per farle compagnia durante i suoi sfiancanti turni, quando avrei potuto fare baldoria nei locali più in voga dell'Upper Est Side. Non che avessi di che lamentarmi: Joanne c'era sempre stata per me e io per lei. Era naturale prenderci cura l'uno dell'altra. Almeno finché non venivo attratto da qualche bel maschio e me la svignavo per una maratona di sesso.
«Kar, non potevo permettere a tuo padre di fare una cosa simile», obiettò lasciandosi cadere sulla sedia di fronte alla mia.
«Potevi eccome! Il mio paparino ha un figlio solo...», deglutii e bevvi un sorso di birra. «E bellissimo, ovviamente», mi elogiai con un sorriso.
Joanne ruotò gli occhi, sbattendosi una mano sulla fronte.
«E sai benissimo che avrebbe desiderato averne altri. Ma, senza utero è complicato e quello di mia madre era già dall'altra parte del mondo, quando ho spento la prima candelina.»
Mio padre aveva perso la testa per una giovane donna coreana capitata a New York per caso, molti anni prima. Aveva infornato il suo seme quasi subito e per nove mesi lei era rimasta al suo fianco, godendosi le ricchezze e la tenerezza del mio paparino coccolone. Appena sfornata la pagnotta, puff! Sparita nel nulla. Mi lasciò in ospedale e se la svignò. Presumo sia tornata a casa sua ma nessuno ha mai avuto la certezza di niente, nessuno si è mai preso la briga di indagare.
Mio padre, comunque, era troppo felice del regalo che gli aveva lasciato, ossia io, e non soffrì molto la sua perdita che io sappia.
«Ciò non toglie il fatto che non sono sua figlia e che non è giusto che provveda ai miei studi», sentenziò Joanne, bevendo la mia birra.
«Non avrebbe fatto alcuna differenza, non lo avresti mandato in bancarotta. Ma preferisci sguazzare nell'olio e nella carne, pur di non lasciarti dare una mano!» la rimproverai, riprendendomi la bottiglia. Ne aveva già tracannata metà e non reggeva molto bene l'alcol.
«Sarebbero stati un mucchio di soldi e sì, preferisco avere l'odore di un panino piuttosto che essere una ladra.»
«Mio padre te li stava offrendo volontariamente», rimbrottai stufo. Quella ragazza era più testarda di un mulo.
«Joanne, non sei pagata per tenere le chiappe sulle nostre sedie», urlo Chase,dalla cucina.
A vederlo sembrava il tizio di colore del terzo film di Rocky Balboa, era enorme e le sue braccia erano il doppio delle mie, nonostante fossi ben piazzato. Metteva una certa soggezione, soprattutto quando il locale era pieno e i clienti si mostravano impazienti e altezzosi come nei fine settimana.
«Puoi non ricordarmi ogni volta che cosa avrei potuto non fare se avessi accettato?» bofonchiò Joanne, rimettendosi in piedi.
«Ci proverò.» Feci spallucce e la guardai sparire dietro le porte della cucina.
Continuai la mia cena ma l'appetito mi passò del tutto appena mi voltai verso l'ingresso e vidi Parker Baine, uno strafico da paura, entrare e rivolgersi a me con una mano alzata.
Santi numi, avevo mangiato patatine fritte e hamburger con una tonnellata di cipolla, il destino era ingiusto!
«Karter», mi salutò sedendosi nel posto che poco prima occupava Joanne.
«Parker», feci lo stesso, sorridendo alla rima baciata che creavano i nostri nomi. E se fossi stato io a baciare lui, anziché il suo nome a baciare il mio?
«Come te la passi?» mi rubò una patatina dal piatto e si sistemò con le spalle sulla sedia e le gambe scomposte. Era un'abitudine di chiunque rubare il mio cibo?
Parker si leccò le dita, assaporando i granelli di sale che gli erano rimasti attaccati ai polpastrelli e io sospirai. Era illegale, decisamente.
«Bene», risposi spingendo il piatto in avanti. Non avevo fame, tanto valeva che mangiasse lui. Se lo avesse fatto in quel modo seducente, tanto meglio.
«Devi fare il cane da guardia alla rossa ancora per molto?»
La voce di me che le facevo compagnia al lavoro si era sparsa in giro e Joanne non lo sopportava, ma io me ne fregavo allegramente dei pareri degli altri.
Avevo fatto coming out in primo liceo e anziché essere bullizzato avevo ottenuto il rispetto di altri ragazzi come me ma che non avevano le mie stessepalle nel confessarlo al mondo. Comprensibile... ma se c'era una cosa che odiavo più di una vagina, era senza dubbio la menzogna. Non sarei stato capace di fingere tutto quel tempo.
«Non faccio il cane da guardia, Parker. Le sono semplicemente di supporto tra una pausa e l'altra. E comunque posso andarmene quando voglio, Joanne non mi tiene al guinzaglio», replicai infastidito.
Parker si allungò sul tavolo con un sorriso rilassato e mi posò una mano sulla coscia. «Ti va di andare a fare quattro passi?»
I miei muscoli si rilassarono e il cipiglio che mi aveva causato scomparve. «Dove pensi di portarmi?»
«In paradiso», rispose scoccandomi un occhiolino.
«Non ci sono mai stato, sembra un bel luogo da visitare», ammiccai senza esitazioni.
«Vedrai quanto!» Parker si alzò e pagò la mia cena, lasciando una banconota sotto al bicchiere.
Lasciammo il locale con i fianchi che si sfioravano. La sua mano continuava a sbattere sulla mia ma quando la presi, lui si ritirò bruscamente.
«Ti vergogni?» chiesi a quel punto.
Parker si stava sbracciando per richiamare l'attenzione di un taxi. «No, solo che non sei il mio ragazzo e non vedo perché dovrei camminare con te, come se lo fossi», rispose distrattamente.
«Ok.» Non ci rimasi male, aveva ragione e poi, fargli una scenata avrebbe rovinato la mia visita al paradiso, non ne valeva la pena. «Comunque, ho la macchina al residence», lo informai. «Possiamo prenderla se hai intenzionedi andare lontano.»
«Mi dimentico sempre che tu stai là», rise e si passò una mano tra i capelli biondi, facendomi cenno di proseguire a piedi.
Camminammo in silenzio, salutando di tanto in tanto alcuni studenti che si affaccendavano a godersi il sabato sera, fino ad arrivare davanti al residence della Juilliard.
«Macchina o stanza?» domandai al bivio tra il parcheggio e l'ingresso.
Parker mi guardò con un sorriso tutto denti: «Stanza!»
«Il paradiso è più vicino di quanto mi aspettassi», scherzai prendendo il badge. Lo passai sul sensore e le porte si spalancarono.
«Non ti viene mai voglia di tornare ai comfort di casa tua?» Il biondino si guardò intorno, camminando all'indietro e facendo una giravolta per poi tornare ad affiancarmi.
«Mai. Qui si sta bene, e poi c'è Joanne!»
Parker inarcò un sopracciglio ma non aggiunse altro.
Quando le porte furono aperte mi spinse sull'ascensore e ancora prima che si chiudessero era su di me, con le labbra incollate alle mie. Sperai con tutto il cuore che non si sentisse l'olezzo della cipolla che avevo mangiato. Lui continuò a baciarmi e finì con il tranquillizzarmi e ricambiare a dovere, mordendogli quelle labbra voluttuose. Sentivo la sua eccitazione crescere contro di me e la mia che già annaspava dentro la stoffa attillata degli skinny.
Posò le mani sulla mia camicia che sbottonò con foga e io dovetti trattenere un gemito, mentre il din dell'ascensore ci avvisava che avevamo raggiunto il piano.
«Siamo arrivati», mormorai accaldato. Annullai la distanza tra me e la porta della mia stanza, presi la chiave la infilai nella toppa ed entrai, inciampando su un paio di scarpe di Joanne. «Cazzo!» imprecai, lanciandole dall'altro lato della stanza.
«Sembrano un po' piccole, per essere tue», commentò Parker. «Ma fammi indovinare...», fece per pensarci. «Joanne?»
«Già.» Chiusi la porta con un respiro lento. Era assai probabile trovare roba mia in camera sua e viceversa.
Parker si sedette nella panca accanto alla finestra, le luci della città filtravano tenui e stanche e lui le guardava, con la testa riversa sul muretto di mattoni bianchi.
Mi sedetti al suo fianco, stringendogli una mano sul ginocchio. «Guardarla da qua fa un altro effetto, vero?» chiesi spezzando il silenzio.
La Juilliard era un sogno a occhi aperti per molti studenti. Lo era per me, lo era per Joanne e dallo sguardo rapito di Parker, intuii che lo fosse anche per lui.
Si voltò e annuì.
Restammo a guardarci, senza più parlare o baciarci. Quello che era successo in ascensore sembrava capitato ad altri, ma il sapore di lui sulla bocca mi confermò che eravamo stati noi a ritrovarci quasi sul punto di scopare nell'ascensore.

Firts Girly LoveWhere stories live. Discover now