2. Crème De La Crème - Joanne

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𝄞 Life - Ludovico Einaudi

«Le tue scarpe...» Karter ridusse i suoi occhi allungati a due fessure minuscole, mentre mi scrutava. «Le tue dannate scarpe hanno fermato Parker. Poteva essere una delle scopate epiche della mia vita ma, grazie alle tue scarpe, non è andata così», ci tenne a sottolineare.
Io risi, nascondendo il viso dietro la tazza col mio caffè americano. Karter era tragico come pochi. «Come fai a dire che poteva essere epica se non siete mai stati insieme?» commentai addentando un donuts. Le colazioni al residence della Juilliard erano molto più buone di quelle che offriva mia madre solitamente. Era brava in tante cose ma lei e l'arte culinaria erano due rette parallele che non si sarebbero mai incontrate, e se anche lo avessero fatto sarebbe stato meglio correre ai ripari.
«Stiamo parlando di Parker Baine. Tutto in lui è epico», rispose ovvio.
«Per te, Kar. In fin dei conti non hai prove sulle sue abilità sessuali», ghignai sapendo di irritarlo. Odiava quando lo contraddivo, il che accadeva spesso sin dall'asilo.
Karter si lasciò andare con le spalle sulla poltrona passandosi una mano sul ciuffo liscio di capelli neri. «Resta il fatto che se quelle scarpe non fossero state proprio davanti la porta io e lui avremmo consumato.»
«Se non ci fossero state le tue mutande sul mio letto, Keaton non mi avrebbe mollata dopo una settimana», replicai facendo spallucce. Io e Karter eravamo come un prendi due paghi uno del supermercato. Non c'era uno, senza l'altro e francamente non ci vedevo nessun problema. Mi piaceva avere le sue cose a portata di mano, a volte si rivelavano utili come gli appunti di storia dell'arte o i chewingum alla menta.
«Ok, siamo pari», si arrese con un mezzo sorriso. «Anche se Keaton era un idiota e dovresti ringraziarmi per avertelo tolto dai piedi.»
«Ti ho già ringraziato», puntualizzai pulendomi le mani su un tovagliolino di carta.
«Dovresti rifarlo. Sai, non è mai abbastanza.»
Non riuscii a trattenere una risata al suo sguardo fiero. Credeva sul serio di avermi fatto un favore ipermegagalattico togliendomi dai piedi Keaton. Ma la cosa più assurda era che lo credevo anche io. Non so nemmeno cosa mi avesse portato a uscire con quel tipo. Io e lui eravamo così diversi, ed era evidente dalla luna che non sarebbe durata a lungo. Era troppo pieno di sé e io troppo insicura e poi era così perfettamente fluido nei movimenti, che dava quasi fastidio guardarlo. Era un ballerino di danza classica e si portava la sua disciplina dietro come un'insegna al neon stampata nei gesti, mentre io rischiavo di rotolare giù a ogni passo e non scherzo! L'anno prima ero quasi finita col cadere dal palco durante un'esibizione. Karter mi aveva impedito di finire faccia a terra con una mossa da maestro che ancora oggi fatico a capire. Solo Superman sarebbe stato capace di tenere violino in un braccio e me in un altro, per poi ricominciare a suonare come se niente fosse.
«Parker Baine a ore nove», mimò Karter tirandosi a sedere composto sulla sedia.
Mi voltai alla mia sinistra e lo vidi, con i capelli biondi sparati in tutte le direzioni e i lineamenti gentili nel salutare alcuni studenti. «Ha preso alloggio qui?»
«Non credo», rispose Karter, fingendo di non guardarlo. «Fino a ieri sera no.»
«Magari ci sta pensando.»
«Magari.»
«O magari no. Viene verso di noi», parlai piano, vedendolo arrivare con la sua camminata lenta da modello. Anche lui, come Keaton, aveva movimenti aggraziati. L'unica, netta differenza era che Parker era davvero molto, molto, molto più mascolino. Karter aveva buttato i suoi occhi a mandorla sulla crème de la crème della Juilliard.
«Buongiorno», ci salutò accomodandosi al nostro tavolo.
Karter gli sorrise. «Ora che sei qui, sì che è un buongiorno», ammiccò mordicchiandosi le labbra.
Io ruotai gli occhi al cielo. Era un paraculo da record ma non lo avrei confessato a Parker. «Ciao», salutai con un cenno.
«Chissà per quale ragione non mi stupisce vedervi insieme», commentò guardando Karter. Non mi aveva degnata di uno sguardo ma stava consumando il mio migliore amico con gli occhi. Fantastico!
«Joanne e io stiamo sempre insieme la domenica», rispose Karter senza alcun turbamento.
«Sì, e anche il lunedì e il martedì e il mercoledì e...»
«E il resto della settimana», lo interruppi infastidita. «Qualche problema?»
Parker mi lanciò un'occhiata e sorrise. «Ma figurati!» esclamò sventolando una mano in aria. Poi volse la sua completa attenzione a Karter, di nuovo. «Ti va di andare a pranzo?»
Karter si mosse sulla sedia elettrizzato. «Dimmi dove e quando, ci sarò.»
«Oggi da Food Italy, il ristorantino vicino a Rockefeller center», si affrettò a rispondere. «Fanno le polpette più buone del mondo!»
«A Karter non piacciono le polpette», replicai senza esitazioni.
Parker e Karter mi guardarono, il primo con un sopracciglio tanto sollevato che di lì a poco sarebbe schizzato fino all'attaccatura dei capelli; il secondo come se volesse uccidermi. Uno sguardo che conoscevo bene e che sapevo come tramutare in un sorriso largo e tante coccole.
«Joanne voleva dire che...»
«Voleva dire che non ti piacciono le polpette», lo bloccò. «Ma solo perché non hai assaggiato quelle!» Il sorriso che apparve sul volto di Parker mi fece cadere la mascella. Le polpette erano sempre polpette, in qualsiasi ristorante o circostanza rimanevano carne macinata buttata in un mare di salsa e a Karter non piacevano, punto.
«Vale la pena tentare, allora», disse Karter.
«Un momento», mi intromisi in quel gioco di sguardi e quasi non fui sbalzata in aria dalla carica di elettricità che emanavano quei due. «Tuo padre ci aspetta a pranzo, come sempre
Karter ritrovò la memoria con uno sbuffo. «Giusto.» Si alzò e fece scivolare una mano sulla tasca posteriore dei jeans, recuperando il cellullare. «Sono ancora in tempo per dirgli che andrai da sola.»
«Cosa?» strillai, sollevandomi di scatto.
Karter tirò in fuori le labbra e socchiuse gli occhi. «Per favore, Jo...»
Era la copia orientale del gatto con gli stivali, non potevo deluderlo. «Ok.»
«Grazie, grazie!» esultò sollevandomi da terra. Iniziò a girare e girare e girare e il mio caffè tornò alla carica sulla bocca dello stomaco ma lo mandai giù con una risata di gola, stringendomi alle spalle del mio amico.
Parker ci osservò a braccia conserte e potrei giurare di averlo visto sbuffare un paio di volte. Non mi importava. Continuai a stringere Karter e quando si fermò gli stampai un bacio sulla guancia sbarbata. «Mi devi un favore.»
«Un favore epico!» Mi strizzò un occhio e mi rimise coi piedi per terra. Inviò un vocale a suo padre che rispose immediatamente con un: non c'è problema e una faccina sorridente. Raggiunse Parker, lasciandomi un passo indietro a loro. «Sono tutto tuo.»
«Era ora», rispose il biondo, lanciandomi uno sguardo vittorioso.
Io sorrisi. Non c'era gara tra me e lui.

Firts Girly LoveWhere stories live. Discover now