Alina - Come un virus - 1/2

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«Si spieghi meglio signora Harper e faccia davvero attenzione alle parole che usa».

La voce della poliziotta è ora più pacata, ma la serietà con cui sprona Zoe rende l'aria attorno a noi elettrica. La mamma della mia migliore amica si agita sulla sedia accanto la mia. Fa fatica a regolare il respiro, è scossa. Allungo una mano per sfiorarle un braccio e la donna sussulta, visibilmente sorpresa. Non l'ho mai vista così persa, ha lo sguardo di una bambina. Non è più la Zoe che ho conosciuto a Honolulu. Adesso c'è il vuoto nei suoi occhi, profondo e disperato.

«Facciamo un passo indietro: perché sua figlia è stata ricoverata al Nitfield Medical Centre?» insiste Iris Welsh, la punta della penna a sfera picchietta rapida contro il bordo della scrivania. Il legno è rigato in diversi punti e vecchie macchie di caffè sembrano renderlo alquanto appiccicoso.

«È stato per via del suo problema al braccio. Circa un mese fa Nina ha avuto una strana febbre che le ha causato un'infezione alla mano sinistra, può controllare nei referti dell'Hopevale Hospital. È stato lì che i dottori mi hanno consigliato di contattare questo centro specialistico a Edimburgo per condurre una serie di esami che sarebbero durati circa ventiquattro ore», la sua voce trema di meno adesso che la mente è concentrata sui meri dati empirici.

«Ma quando l'ho accompagnata, ecco, noi abbiamo avuto una discussione» continua Zoe.

Sul volto di Iris Welsh appare una smorfia contrariata; la donna aggrotta la fronte, poi afferra un taccuino per trascrivere un appunto. La penna si muove rapida sulla carta, il tratto è così deciso che sembra poterla strappare da un momento all'altro.

«Qual è stato il motivo della vostra discussione?» chiede con voce piatta.

Affilo lo sguardo, mi concentro sui lineamenti duri del volto. È nei dettagli come questo che si nasconde la verità: che cosa pensa Iris Welsh di tutta questa situazione? Che idea si è fatta di noi?

Cerco di captarlo nel modo in cui ci guarda, nell'effetto che le parole di Zoe hanno su di lei.

«Beh, ecco... riguarda il padre biologico».

Zoe fa una lunga pausa, dev'esserle costata una fatica immensa dirlo ad alta voce. Il modo in cui ha pronunciato la parola biologico s'imprime nei miei pensieri. Non so ancora perché, ma è un dettaglio importante, che credo mi servirà prima o poi. Presuppone l'assenza di un rapporto sentimentale con lei, ma anche di un legame con Nina.

«Continui pure, l'ascolto» asserisce la donna con voce annoiata, dopo aver lanciato un'altra breve occhiata all'orologio dietro di noi. Questo ormai non è più un caso di persona scomparsa, ma di adolescente ribelle in fuga e di storie del genere ne è pieno il mondo. Sì, le stiamo decisamente rubando del tempo prezioso e non le importa davvero nulla della scomparsa della mia amica. Sento un vuoto stringersi all'altezza del petto.

«Nina non conosce suo padre e l'uomo non sa della sua esistenza».

C'è qualcosa di tetro nel tono di voce di Zoe: un'assenza cupa, quasi macabra, di emozioni. La risposta è in grado di catturare di nuovo l'attenzione di Iris Welsh, che torna a guardarla come se di fronte a lei ci fosse un fenomeno insolito da studiare nei minimi particolari. Non si tratta più di semplice lavoro d'ufficio: Zoe ha appena pronunciato una formula magica in grado di ridestare la poliziotta dal suo torpore burocratico. La donna si tocca i capelli biondi e lisci per la prima volta, portandosi una ciocca dietro l'orecchio. In qualche modo ritorna umana.

«Probabilmente sto per farle una domanda piuttosto indelicata e mi dispiace parecchio» riprende la poliziotta, abbassando lo sguardo per dirigerlo con malcelato nervosismo verso il taccuino su cui solo pochi secondi fa ha sfogato la sua rabbia.

Light Academy - L'accademia di luceWhere stories live. Discover now