49J - Il mondo visto dal basso

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Sono senza fiato quando conclude, un'occhiata rassegnata.

Ha ragione.

Ho fatto il possibile per trovare scuse a ciò che sentivo dentro, declassandolo a qualcosa di poco conto ma non è affatto così. Non si nutre gelosia per una sconosciuta sulla base del nulla, non la si guarda con quel forte desiderio, non si sente la sua mancanza se va via. E invece io fatico ogni singolo giorno a lasciare il letto su cui Calista riposa, accanto a me e Kinder. Fatico a non sbirciare le sue conversazioni con Loris o qualche altro ragazzo della squadra. Fatico a saperla lontana da me. Anche se per qualche giorno.

«Mi spieghi cos'ha e cosa possiamo fare per aiutarla.» Cambio discorso, affrontandone uno più sicuro. Non voglio affrontare i miei sentimenti con lo Spencer sbagliato.

Il coach sospira e comincia la sua spiegazione. Prima di andare chiamo il team manager e l'addetto stampa per mettere a punto cosa dire. La gente sa che sono qui e, dalle notifiche che noto sul cellulare, è chiaro che la notizia del coach in ospedale sia già arrivata ai media.

Quando esco e vengo accerchiato da una sfilza di giornalisti e fotografici mi limito a dichiarare ciò che abbiamo concordato in precedenza. Il coach ha avuto un malore ma si riprenderà, niente di cui preoccuparsi. Il suo posto rimarrà intatto. Dopo aver risposto a un paio di domande, filo dritto a casa, nella speranza di trovare Calista. Non so cosa le dirò, so solo che non posso lasciarla andare quando pensa quelle cose di me.

Parcheggio nel vialetto una quarantina di minuti dopo. Tra la pioggia battente, il traffico e le domande dei giornalisti non sono riuscito a liberarmi prima. Ancora una volta, mi bagno completamente per arrivare alla porta d'ingresso.

Entrato in casa sento dei rumori provenire dal piano di sopra. Sospiro di sollievo quando noto Kinder accucciata sul divano, significa che Calista è ancora qui. Una serie di tuoni spaventa Kinder, facendola nasconde al di sotto di un plaid che ho lasciato ieri sera sul divano.

Qualche secondo dopo vedo Calista comparire sulle scale, sta trascinando una valigia. Il cuore si restringe nel petto quando noto anche il borsone che ha in spalla. Se ne sta andando davvero.

I suoi occhi mi individuano all'istante. Si morde l'interno guancia ma non commenta.

«Non te ne andare.» È la prima cosa di senso compiuto che riesco a dirle da quando ci siamo visti.

Lei non ribatte. Scende gli ultimi scalini e si ferma in salotto.

«Non andartene, Calista» ripeto.

«Ascolta...» Sospira, poi si passa una mano tra i capelli umidi. «Mi dispiace di averti accusato ingiustamente. Non potevi rispondermi. Papà me lo ha spiegato, ma io ero... arrabbiata. Lo sono ancora. E ho bisogno di andarmene per riflettere su come affrontare il resto di questo disastro.»

«Lasci Kinder da sola?» Lasci me da solo?

«Puoi lasciarla da papà la mattina presto e riprenderla la sera, quando finisci gli allenamenti. Non ho intenzione di abbandonarla, ci divideremo la custodia perché è anche mia e non la lascio.» Si avvicina al pitbull e le accarezza la testa. Kinder le si spinge contro la mano e chiude gli occhi, soddisfatta.

«Io non lo so di che ti sei innamorata, Calista» mormoro. «Sono inadatto la maggior parte del tempo, non mi piace stare troppo con le persone, ti rispondo a monosillabi e se potessi metterti in muto quando canti lo farei senza pensarci due volte. Cosa puoi aver apprezzato? Non c'è niente da prendere.»

«Jordan...» Rilascia un profondo respiro. «Non è ciò che dici, ma ciò fai. Non ho bisogno di un logorroico che non mi dimostra niente. Preferisco una persona più silenziosa che rispetta i miei spazi, si prende cura di me a modo suo e mi dimostra che ci tiene anche quando è scocciato.»

«Non so di che parli» borbotto.

Per la prima volta, Calista accenna un brevissimo sorriso. «Analizza i tuoi comportamenti negli ultimi mesi.»

«Bene. E se ti dicessi che anch'io sono innamorato di te? Ti convincerebbe a restare?» Cazzo, sto sudando freddo.

«No» ammette. «Perché in questo momento sono confusa, spaventata per mio padre e scossa da ciò che ti ho detto. Non te ne puoi uscire così dopo avermi persino chiesto cosa apprezzi di te. E poi, non voglio nemmeno che tu mi dica qualcosa che non pensi davvero, qualcosa dettato solo dalla paura di perdermi. Ci tieni a me, lo dimostrano le piccole cose che fai, è solo... non so se si tratti di affetto o altro e al momento non sono pronta a farmi ulteriori domande, Jordan.»

«Puoi riflettere qui. Me ne starò nella stanza degli ospiti e avrai tempo di pensare e schiarirti le idee.»

Calista si avvicina, ha gli occhi rossi e gonfi, ancora una volta velati dalle lacrime. A causa mia. Posa una mano sulla mia guancia, ancora umida dalla pioggia. «È meglio che vada. Non chiedermi di restare quando è già tanto difficile starti così vicino e non poterti stringere.»

Allora lo faccio io. Chino le ginocchia, mi abbasso per poter essere alla sua altezza e la stringo. Le avvolgo le braccia attorno alla vita, sollevandola dal pavimento e affondo il viso nell'incavo del suo collo. Mi sento completo, risanato. Il bisogno che ho di lei è viscerale.

Le sto facendo del male e non posso più accettarlo, sono stanco di tenerci in un limbo. Se c'è qualcuno per cui posso essere una persona migliore quella è Calista Spencer.

La sento tremare, singhiozzare piano e la stringo ancora più forte. «Lo so che non mi credi e che stai affrontando un momento difficile. Quindi ti lascio lo spazio e il tempo che ti servono. Quello che mi hai detto... mi ha colto alla sprovvista, però so cosa sento quando mi sei vicina e non voglio perderlo, Calista. Perciò... fai le tue cose, rifletti, io farò altrettanto.»

«Jordan.» Piange ancora più forte, il suono dei singhiozzi sovrasta persino la forte pioggia.

«Sei l'unica persona per cui vale la pena spendere qualche parola in più.» Glielo bisbiglio all'orecchio. «L'unica per cui mi sottoporrei a una conversazione continua con la squadra se ciò servisse a farti felice.» Poi, la rimetto giù e le sfilo piano gli apparecchi dalle orecchie.

Lei mi guarda del tutto confusa e lo capisco. Ma non mi tiro indietro. Le bacio prima il lobo destro, segue quello sinistro, mi porto la sua mano al cuore. «Mi senti. Anche così» mimo. «Vai bene anche così.»

Le tremano le labbra mentre accenna un altro piccolo sorriso, le lacrime non smettono di scorre sul bel viso.

«Possiamo essere inadatti insieme» mimo di nuovo, con lentezza. So che non se la cava con il labiale ma ho bisogno che mi capisca. «Devo solo convincerti che dico sul serio.»

Con calma, le rimetto gli apparecchi alle orecchie. «Va', porta Kinder con te per stasera.» Passo i pollici sotto ai suoi occhi, scacciando via le goccioline che odio. «Solo una cosa: mandami un messaggio quando arrivi, piove troppo forte. So che non posso convincerti ad aspettare che smetta, quindi... avvisami.»

Lei annuisce piano, poi si avvicina a Kinder.

Successivamente, l'aiuto a caricare le sue cose in macchina mentre lei fa salire Kin sul sedile posteriore della mini. Mi rivolge un ultimo sguardo prima di chiudersi dietro lo sportello e partire.

Rimango sotto la pioggia, ma non mi sento sconfitto. Perché mi è bastato stringerla per sentirmi nuovamente intero e confermare quello che cercavo di negare.

La amo. Tanto. E non me la lascerò scappare. Ho affrontato molto peggio nella vita e adesso ho l'occasione di fare bene le cose per la prima volta. Ho già combinato troppi casini, commesso troppi errori, non lascerò che Calista Spencer sia uno di quelli. 

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄On viuen les histories. Descobreix ara