35J - C'è spazio nella mia libreria

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Essere stato circondato da una sorella urlante, una finta fidanzata isterica perché non riusciva a trovare delle credenziali necessarie per entrare a quel dannato festival e una sfilza di gadget sparsi ovunque dopo essere tornato da un duro allenamento è stato asfissiante. Ma ce l'ho fatta. Sono andate vie un paio d'ore fa e torneranno stasera. Mamma le ha accompagnate e papà si è aggregato a me a un secondo allenamento pomeridiano qualche ora dopo pranzo.

La partita è fra due giorni e domani la squadra partirà per sistemarsi e valutare insieme un paio di filmati per gli ultimi accorgimenti. I Melbourne Storm sono forti, l'abbiamo appurato diverse volte. Abbiamo anche perso qualche match contro di loro ma non stavolta. Vinceremo perché li abbiamo studiati, conosciamo i loro punti deboli e l'AAMI Park tremerà. Non sono tornato a casa per perdere davanti alla mia famiglia. Mi vedono in campo dopo mesi, il minimo che posso fare è offrirgli una vittoria.

Il rugby è la cosa più importante della mia vita, insieme alla famiglia, non permetterò a niente e nessuno di distrarmi. Gioco da dodici anni, ne avevo quattordici quando ho cominciato al liceo, usandolo come valvola di sfogo. Mi permetteva di sfogare la rabbia repressa in campo, di riuscire a gestirla piuttosto che rischiare la sospensione ogni due mesi. Non ne vado fiero, so quanto la mia famiglia abbia sofferto a causa mia e non mi perdonerò mai le lacrime di mamma o lo sguardo sconsolato di papà, desideroso di aiutarmi ma senza sapere come.

Successivamente, ho proseguito alla University of Melbourne, dove ho giocato con la squadra dell'ateneo, fino a essere draftato dai Brisbane Broncos a ventun anni. Li seguivo da diverso tempo e sognavo di poter essere interessante abbastanza da entrare nei loro radar. E così è stato. Il vecchio coach mi ha tenuto sott'occhio per tre anni consecutivi, ordinandomi di tenere la testa a posto. Poi un giorno di tanti anni fa, si presentarono alcuni giocatori dei Broncos e ci guardarono giocare. Ci studiarono. E finalmente arrivarono i draft*, il momento della verità. Sapevo che sarei stato felice in ogni caso, giocare era – ed è – tutta la mia vita, ma erano stati loro a fare il mio nome. Avevo ottenuto una maglia, un posto. Da quel giorno, nonostante di cazzate ne abbia fatte tante negli anni, ho cercato di fare del mio meglio per non causare ulteriori problemi alla mia famiglia. È vero, qualche stronzata la combino ancora, basti vedere in che situazione assurda mi trovo adesso, ma non è più come il liceo o l'università. Rispetto ad allora sono decisamente più calmo. I miei compagni non lo direbbero, ma qui tutti sanno che è così.

«Allora, come vanno le cose a Brisbane, figliolo?» domanda papà, prima di sorseggiare il suo tè freddo.

«Come sempre.»

«Ti scoccia aver portato Calista da noi?» Mi scruta con attenzione, poi ritorna a girare le pannocchie sulla griglia del barbecue.

Rilascio un sospiro e sposto lo sguardo verso il giardino. Ci siamo sistemati sul patio in attesa che le squilibrate e la mamma ritornino. Il capo vuole che offriamo un'esperienza completa all'ospite, così ha pensato di organizzare una piccola grigliata all'aperto. «Un po'» ammetto.

«Elabora.»

«È solo che non mi piace condividervi con nessuno e avevo deciso che vi avrei presentato una ragazza solo quando avrei messo la testa a posto.» Nemmeno con loro sono di grandi parole, però riesco a essere un pelo più aperto. Il fatto di essere riuscito ad ammettere una cosa del genere è un grande traguardo rispetto a dodici anni fa, quando facevo dei pugni le mie parole.

«Be', è una situazione particolare ma lei sembra una brava ragazza. Fidanzata o meno, non ci dispiace averla in casa. E poi Ruby la idolatra, sono sicuro che parlerà di ieri, quando l'ha incontrata, per almeno una settimana. E questo festival? Un mese, Jordan. Ne sono più sicuro della morte.»

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora