1. Benvenuta agli studios!

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Marlena uscì di casa con il cappello in bocca. Era consapevole, ovviamente, che il cappello dovesse andare sulla testa, ma stava correndo più veloce che poteva e aveva le mani occupate, motivo per cui avrebbe dovuto tenere il cappello in bocca finché non avesse avuto le mani libere.

Mentre saltellava giù per il vialetto (accorgendosi di avere una delle scarpe slacciate), si infilò lo zainetto e si mise in tasca il portafoglio, poi finalmente riuscì a togliersi il cappello dalla bocca e a calcarselo sui ricci blu, un secondo prima di infilarsi in macchina.

Il suo telefono iniziò a vibrare, poi a sparare l'inno alla gioia dalle piccole casse.

«Oddio, mamma mi chiama ora...» Squittì Marlena, contorcendosi per estrarre il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni (da cui pendevano due personaggini di plastica, uno che sembrava un robo-scheletro muscoloso e uno che era un cagnolino verde con gli occhi rossi) «Mamma, non posso, sto andando al lavoro!»

«Hai un lavoro?» replicò la voce di una donna sorpresa

«Mamma, mamma, che cavolo, è il mio primo giorno alla Nick, non voglio fare tardi, ciao!»

«Che è la Nick?»

«Mamma, ciao. Ti chiamo poi!»

«Lena, che è la Nick? Che cavolo è la...».

Marlena chiuse la chiamata con il pollice e buttò il telefono nel portaoggetti, poi accese la macchina e partì.

Non poteva assolutamente permettersi di arrivare in ritardo. O forse poteva permetterselo, ma non voleva: conosceva troppe persone che avrebbero fatto qualunque cosa per aggiudicarsi un posto come il suo e non voleva essere irrispettosa trattando con disprezzo l'incredibile opportunità che le era stata data. Ricordava con adamantina chiarezza le prime scene che aveva visto in TV da piccola: Due Fantagenitori, Spongebob, alcuni spezzoni di telefilm che non aveva particolarmente apprezzato e poi di nuovo i Fantagenitori.

Quando aveva scoperto la televisione era stata una sorpresa enorme.

Al contrario di tutti gli altri bambini che conosceva, i quali erano cresciuti seduti davanti a uno schermo e sapevano a memoria tutte le battute del Re Leone, o di Gargoyles, Marlena aveva guardato per la prima volta la televisione solo ad otto anni; non è che prima non le fosse mai saltato in mente di guardare la TV, anzi avrebbe proprio voluto essere al passo con gli amichetti e i compagni di scuola che continuavano a raccontarle di fantastiche avventure animate, ma sua madre aveva uno stile genitoriale a dir poco bizzarro e doveva aver sentito da qualche parte che la televisione rendeva i bambini stupidi o celiaci o flatulenti (qualcosa del genere, neanche lei se lo ricordava bene) e perciò si era proprio sbarazzata del televisore, sostituendolo con un acquario pieno di lumaconi ornamentali.

A Marlena i lumaconi piacevano e per evitare che sua madre se ne sbarazzasse, non chiese mai di poter guardare i cartoni.

Poi, un Natale, il nuovo ragazzo di sua madre, John Boyle, le regalò un piccolo televisore portatile rosa. La madre di Marlena si era dimenticata da tempo perché la TV dovesse essere dannosa per i più piccoli, perciò glielo lasciò tenere... e fu su quel minuscolo schermo da pochi pollici che a bambina, da sola nella sua cameretta, vide Due Fantagenitori, una storia animata ("e a colori!" pensava il suo cervellino di novenne, che non sapeva che ormai tutte le serie erano a colori) su un irritante bambino dentone con il cappellino rosa a cui erano stati assegnati due padrini fatati, Cosmo e Wanda, piccole e buffissime creature antropomorfe che con le loro bacchette magiche potevano realizzare i desideri.

Quel cartone colpì così tanto Marlena che lei iniziò a scriversi delle avventure proprie, con il proprio padrino fatato Puck (non guardando la tv, Marlena aveva letto tanto), poi prese timidamente a fare i primi disegni di sé stessa e di Puck nello stesso stile di Due Fantagenitori e infine unì le due cose per raccontarsi delle vere e proprie puntate, scritte e disegnate. Non erano esattamente racconti a fumetti, quelli somigliavano molto di più a storyboard. Certo, storyboard con dentro mani che sembravano fiori, scene d'azione quasi illeggibili, espressioni che di quando in quando sembravano più di sofferenza che di felicità, ma non dissimili nella struttura da quelli creati dai professionisti. Marlena, a nove anni, non aveva mai neppure sentito nominare uno storyboard.

Gli dei in cateneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora