Partita di quidditch

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Ludovic osservò la neve cadere con noia, oltre gli spessi vetri della finestra della sua camera il cielo era scuro, avvolto di nuvole grigie attraverso le quali penetrava a spruzzi la delicata e sottile luce del sole pallido.

Se ne stava seduto sul davanzale della finestra con Pierce appisolato sulle gambe, intento ad accarezzarlo lentamente, circondato dalla solitudine del silenzio. La sua camera era vuota, come era capitato molte volte in quelle ultime due settimane, solo il soffio del vento gli faceva compagnia e la voce monotona dei suoi pensieri.

Teneva stretto al collo il medaglione dorato, la catenella gli graffiava la pelle e il rubino rosso, gelido e pesante, era stretto in un pugno nelle sue mani. Non aveva mai indossato il medaglione prima di allora, pensava che fosse un oggetto destinato all'ammirazione più che all'abbigliamento; aveva incominciato ad indossarlo da due settimane, da quando aveva allontanato Fred, probabilmente perché quell'oggetto era l'unica compagnia che gli era rimasta in mezzo alla solitudine.

Ormai non parlava con Fred da più di due settimane, il ragazzo aveva smesso di ronzargli intorno, di circondarlo della sua allegria e del suo sorriso; quando rientrava in camera restava in silenzio, non gli rivolgeva un solo sguardo, aveva perso tutta la sua allegria e, esattamente come Ludovic gli aveva chiesto, aveva smesso di invitarlo alle loro feste.

Ora Hogwarts somigliava un po' di più a Tenuta Lestrange: cupa, triste e solitaria.

Avrebbe dovuto sentirsi meglio, risollevato, invece sentiva che c'era qualcosa che non andava, che la sua camera era troppo silenziosa, che le sue giornate passavano più lentamente, sentiva la mancanza di Fred. Perché alla fine a lui piacevano le sue chiacchiere, li tenevano compagnia quando lui di compagnia non aveva mai avuta. Ludovic era cresciuto in silenzio. Fred faceva rumore. E non aveva mai capito che questo gli piaceva.

Gettò uno sguardo al prato innevato fuori dalla finestra e uno al cielo scuro coperto di nuvole. Il giorno dopo ci sarebbe stata la prima partita di quidditch dell'anno e Ludovic sperò che il tempo reggesse quel tanto che bastava per permetterli di giocare.

La prima partita di quidditch era sempre un grande evento che metteva la scuola a subbuglio, il ragazzo ricordava l'adrenalina che saliva alle stelle ogni volta che montava sulla sua scopa, il coro del pubblico che acclamava la sua squadra, le grida, gli applausi, il vento che gli scompigliava i capelli, la velocità della sua scopa...aveva sempre avuto tanto per emozionarsi per il quidditch e aveva aspettato tutto l'anno per quella partita, adesso che era arrivata Ludovic non provava niente. Nessuna emozione, nessuna eccitazione, nessuna agitazione, all'idea di salire sulla sua scopa domani in campo Ludovic non sentiva nulla smuoversi dentro al suo petto.

Forse era tutto quello che gli era capitato fino a quel momento, tutta quella inutile agitazione, tutte quelle notizie sconvolgenti, forse si era sorpreso così tanto che una semplice partita di quidditch non poteva essere nulla di che.

Pierce si mosse di poco sulle sue gambe, distendendo le zampe e scuotendo la testolina pelosa; i suoi occhi restarono chiusi e un piccolo sbadiglio gli sfuggì dalle labbra. Ludovic si lasciò sfuggire un sorriso e passò una mano lungo il suo piccolo corpicino.

Una folata di vento scosse le finestre, un fiocco di neve cadde dal cielo e qualcuno bussò alla sua porta. Ludovic volse la testa all'improvviso e attese immobile, convinto di esserselo immaginato. Quando bussarono di nuovo sollevò le sopracciglia sorpreso.

Sollevò delicatamente Pierce, poggiandolo sul davanzale della finestra con cautela, e a passi svelti si avvicinò alla porta. L'aprì e restò ad osservare confuso e meravigliato Albus Potter, in piedi dinnanzi alla sua porta.

Harry Potter e le 𝓾𝓻𝓵𝓪 del 𝓭𝓮𝓼𝓽𝓲𝓷𝓸Where stories live. Discover now