13. Numero Ottantasette

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EVELYNE'S POV

Scesi dalla macchina della mia compagna, presi tutte le buste dal bagagliaio e corsi all'interno della struttura anche per evitare di bagnarmi i capelli

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Scesi dalla macchina della mia compagna, presi tutte le buste dal bagagliaio e corsi all'interno della struttura anche per evitare di bagnarmi i capelli. Aveva iniziato a piovere e non avevo intenzione di prendere l'acqua.
Salii rapidamente le scale dato che ero in ritardo da più di dieci minuti e aprii la porta della fitting room.

Quello che vidi fu un colpo al cuore. Mi si riaprii una ferita, un déja-vu di qualche anno fa apparì nella mia mente d'improvviso.
Le concorrenti davanti agli specchi si stavano truccando e pettinando cercando di essere impeccabili.
Ragazze sorridenti che si aiutavano a vicenda, passandosi forcine, lacche ed elastici.
Non sembravano agitate, anzi, il completo contrario. Non avevano motivo di esserlo. Loro non avevano smesso danza come me. Per loro risultava facile ballare quattro coreografie nel giro di qualche ora, invece per me era già un traguardo rimettere piede in una scuola di danza, soprattutto nella sala da ballo.
Di fronte a quella scena mi scese dolcemente una lacrima che percorse la guancia fino ad arrivare sul mento.
Mi ero promessa di non essere sensibile e di prendere questa iniziativa come un nuovo inizio lasciandomi alle spalle il passato, chiuderlo in una sezione di cervello e non pensarci più, ma
risultava più difficile di quanto pensassi.

Entrai in quella stanza. Nessuno notò la mia presenza, per fortuna. L'unico rumore che si sentiva era lo spruzzo della lacca e tante risate.

Poggiai il borsone su l'unica sedia nera libera e rimasi a osservare di sfuggita le circostanze.
Regnava il disordine, il disordine che non dava fastidio alle ballerine.
Trucchi e pennelli sparsi caoticamente sul tavolo, indumenti appesi malamente al guardaroba, una quantità infinita di borse gettate sulle sedie e numerose paia tacchi sul parquet.

Smisi di osservare e procedetti con il segnare il mio nome sull'etichetta degli indumenti con un pennarello nero.
Una delle tante cose che avevo imparato negli anni era mettere sempre il nome, per evitare di rimanere senza vestiti come mi era già successo in passato.

Chiusi gli occhi e respirai quel profumo che avrei riconosciuto tra mille altri, solo le ballerine lo avrebbero percepito.
Quell'atmosfera aveva un'odore particolare, che ti faceva venire la pelle d'oca ogni volta che lo sentivi. Era indescrivibile, non l'avevo provato da quando avevo smesso di ballare.

Con fatica, mi unii alle altre ragazze davanti agli specchi. «Ciao» Salutai insicura. A malapena sentii la mia stessa voce.

L'insicurezza che avevo ogni volta che parlavo o camminavo davanti a tutti sapendo di essere osservata era una delle tante parti del mio carattere che odiavo.
Non sopportavo essere insicura e non capire da dove essa provenisse mi dava alla testa.

«Ciao» Rispose la maggior parte. Alcune non mi avevano sentita e altre mi hanno rivolto solo un'occhiata.
«Lì c'è un posto libero, se vuoi sederti.»
Indicò una di loro.

Fated Mates 1Where stories live. Discover now