𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 48 (Arya)

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"𝔉𝔬𝔯𝔟𝔦𝔡𝔡𝔢𝔫 𝔱𝔥𝔦𝔫𝔤𝔰 𝔥𝔞𝔳𝔢𝔞 𝔰𝔢𝔠𝔯𝔢𝔱 𝔠𝔥𝔞𝔯𝔪"

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"𝔉𝔬𝔯𝔟𝔦𝔡𝔡𝔢𝔫 𝔱𝔥𝔦𝔫𝔤𝔰 𝔥𝔞𝔳𝔢
𝔞 𝔰𝔢𝔠𝔯𝔢𝔱 𝔠𝔥𝔞𝔯𝔪"

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Nell'istante in cui mi svegliai, un dolore sordo e pulsante alla testa mi assalì. La camera era ancora piuttosto buia, anche se dalla finestra vedevo il cielo che cominciava a schiarirsi e una luna sempre più sbiadita che si accingeva a cedere il posto al compagno. Rimasi a fissare il soffitto per qualche minuto, sforzandomi di ricordare il sogno che avevo fatto.

Non era uno degli incubi di Nicholas, per fortuna. Non avevo alcuna voglia di rivivere per l'ennesima volta la morte di Kath. Anzi, in qualche modo, ero abbastanza sicura che lui non avesse chiuso occhio. Doveva essergli successo qualcosa stanotte, perché aveva provato delle emozioni talmente contrastanti che non ero riuscita a decifrarle.

Ero stata tentata di scrivergli per accertarmi che stesse bene, malgrado fossi ancora arrabbiata per il suo comportamento a cena, ma era stato piuttosto chiaro: dovevo farmi gli affari miei.

Mi tirai a sedere con la schiena appoggiata al muro, mugolando quando una stilettata acuta mi trapassò il cranio. Acciambellato in fondo al letto, Balto sollevò la testa e mi fissò, gli occhi che brillavano nella penombra.

Un lieve sussulto mi scosse. Keegan. Ho sognato Keegan.

Allungai la mano verso il comodino e presi il telefono. Prima che potessi rendermi conto di che ora fosse, avevo già fatto partire la chiamata. Al terzo squillo, proprio mentre stavo per riattaccare, la voce impastata dal sonno di Keegan mi giunse dall'altra parte. «'Giorno, Arya».

Mi bloccai. «Ehm, stavi dormendo?»

«No no, perché mai dovrei dormire alle...», ci un attimo di silenzio, «... cinque e mezza del mattino?»

«Hai ragione. Scusa, torna pure a...»

«No, aspetta. Sto scherzando. Cioè, dormivo sul serio, ma non importa». Lo sentii sbadigliare. «Che succede, allora? Stai bene?»

Esitai. All'improvviso l'idea di disturbarlo per dirgli che lo avevo sognato mi appariva davvero stupida. Non ne ero nemmeno del tutto convinta. Era più una sensazione. «Niente, lascia stare. Sto bene».

«Ma...»

«Vengo a trovarti dopo scuola. Ci vediamo». Richiusi la chiamata e buttai il telefono sul comodino.

Facendo cigolare il materasso, Balto venne a rannicchiarsi al mio fianco e mi posò il muso sul grembo con un uggiolio. Tornai distesa supina e gli grattai distrattamente le orecchie, lo sguardo puntato oltre la cortina di tende. Pallide nuvole violette si stavano formando nella distesa plumbea, che preannunciava un'altra triste giornata uggiosa.

Un nervosismo non mio mi attanagliava lo stomaco. Socchiusi le palpebre, spinta dalla curiosità. Rovistai dentro di me e mi aggrappai al vincolo che univa me e Nicholas, al filo luminoso che ci legava l'uno all'altra.

Fear of SilenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora