𝕮𝖆𝖕𝖎𝖙𝖔𝖑𝖔 43.2 (Nicholas)

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"ℑ𝔱'𝔰 𝔫𝔬𝔱 𝔞 𝔤𝔬𝔬𝔡𝔟𝔶𝔢,𝔦𝔱'𝔰 𝔞 𝔰𝔢𝔢 𝔶𝔬𝔲 𝔩𝔞𝔱𝔢𝔯"

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"ℑ𝔱'𝔰 𝔫𝔬𝔱 𝔞 𝔤𝔬𝔬𝔡𝔟𝔶𝔢,
𝔦𝔱'𝔰 𝔞 𝔰𝔢𝔢 𝔶𝔬𝔲 𝔩𝔞𝔱𝔢𝔯"

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Sfondai la grata del condotto e mi gettai a terra. Sapevo di non poter contare per molto sull'effetto sorpresa, dunque avevo scelto con cura da quale punto attaccare. Ero impulsivo, non idiota. Anche se dall'esterno la struttura appariva come un ranch in disuso, con recinti vuoti e stalle abbandonate, avevo immaginato che all'interno non sarebbe stato troppo dissimile dal laboratorio in cui ero cresciuto.

Capii di avere ragione quando mi ritrovai in una famigliare stanza bianca piena di macchinari spenti. Accanto a un monitor, riconobbi la scomoda sedia d'acciaio con le cinghie su cui da bambino avevo subito l'elettroshock un mucchio di volte. Non era la stessa naturalmente, ma era così simile da farmi contorcere le budella.

Sfrecciai fuori nel corridoio sgombro. Pur essendo molto più piccolo del nostro laboratorio, motivo per cui probabilmente non ci avevano tenuti lì, rimaneva comunque uno spazio troppo ampio per la manciata di soldati che dovevano essere rimasti a mio padre. C'erano le telecamere, ovvio, ma davo per scontato che non avrebbero prestato attenzione a una zona deserta.

Da lì era facile accedere all'area di detenzione, sperando di non sbagliarmi. Anche se avvertivo la presenza di Callum, non potevo sapere con precisione dove lo tenessero e avevo solo un tentativo per coglierli di sorpresa. C'era anche qualcos'altro, però. Un formicolio lungo la schiena che mi innervosiva.

Continuando a correre a gran velocità, raggiunsi le porte dell'ascensore. Infilai le dita nella fessura verticale e le costrinsi ad aprirsi. La cabina era qualche metro più in alto. Mi lasciai cadere con un balzo, forzai le ante e mi incamminai nel corridoio. Udii in lontananza dei passi che riecheggiavano sul pavimento di marmo.

All'odore del cibo, la rabbia tornò a montarmi nel petto ed emisi un gorgoglio affamato. Con uno scatto svoltai l'angolo, ricoprii la distanza che ci separava e afferrai una delle due guardie. Malgrado indossasse il casco, gli sfracellai il cranio contro il muro con un solo colpo, prima ancora che il suo compagno riuscisse a impugnare l'arma.

Mi voltai e deviai la canna del fucile al di sopra della mia spalla, mentre il suono dello sparo mi trafiggeva il timpano. Glielo strappai di mano e ne conficcai l'estremità in un occhio attraverso la visiera. Riuscì a malapena a lanciare un gridolino, cercando di portarsi le mani al viso, che già gli avevo dilaniato la gola per ridurlo al silenzio.

Lo osservai soffocare nel suo stesso sangue, in preda agli spasmi, poi l'allarme esplose nel corridoio. Man mano che la puzza dell'incenso riempiva l'aria fin quasi a stordirmi, i miei sensi sovrasviluppati cominciarono ad attenuarsi. Le labbra mi si piegarono in un ghigno. Il vero divertimento aveva inizio adesso.

Ripresi a muovermi in direzione delle celle. Un drappello di soldati in armatura mi venne incontro e mi tuffai nella mischia senza esitazione. Sfruttando la mia rapidità, con uno spintone ne mandai uno a schiantarsi contro la parete opposta. L'impatto doveva avergli frantumato la colonna vertebrale. A un altro gli spezzai il collo e lo usai come scudo per proteggermi dalla raffica di proiettili in oricalco che mi riversarono addosso.

Fear of SilenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora