CAPITOLO 11

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Pov di Ivan

Tornato a casa le scrissi immediatamente, sentivo la sua mancanza.
Era un po' come un'ossessione la sua presenza, ormai. Volevo rivederla il prima possibile. Abbiamo avuto solo un'occasione di stare da soli insieme, ed è successo quello che meno mi aspettavo. La seconda volta sarebbe stata meglio, forse.

Ad Ariane:

Ehy, ti andrebbe di rivederci?

Vidi che era già online, e mi assalì il pensiero che forse si stava scrivendo con un altro ragazzo, e questo mi fece salire un po' di gelosia, okay forse non solo un po'.

Poi iniziò a scrivere, a me ovviamente.

Da Ariane:

Certo, dimmi solo dove e quando.

Ad Ariane

Domani alle 16, Central Park.
Sii puntuale.

Reagì al messaggio con un pollice che faceva il segno "ok".

***

La mattina, facendo colazione, mi disturbò mia madre.

«Che cosa farai oggi, tesoro?» la sua abitudine era quella di chiedermi, ogni singola mattina, i miei programmi per quel giorno.

«Nulla, esco» le risposi semplicemente.

«Con la tua ragazza?» azzardò lei.

«Può darsi».

«Okay allora, ci vediamo stasera, immagino» disse, dandomi un bacio sulla fronte, come suo solito, e andandosene.

Quindi io salii in camera mia, mi feci una doccia e mi vestii.

Una semplice camicetta bianca con dei pantaloni verde militare e le mie classiche scarpe nere lucide.

Mi spruzzai un po' troppo profumo e presi la cesta che avevo preparato, sì avevo organizzato un pic nic, e uscii di casa per andare già a Central Park e farle trovare tutto pronto.

Arrivato lì scelsi il luogo meno affollato e presi la tovaglietta a scacchi rossi e bianchi e la stesi sul prato ancora bagnato per la pioggia di stanotte. Presi tutti i piatti fuori e lo sistemai sopra essa, insieme a piatti e posate.

Presi anche due cuscini li misi uno di fronte all'altro e mi sedetti comodo ad aspettare.

***

Trascorso un po' di tempo la vidi arrivare in lontananza. Così mi alzai per andarla a salutare.

Il nostro saluto era ancora abbastanza formale dopotutto, una semplice stretta di mano. Ma al posto di dire un solito "buongiorno" almeno dicevamo "ciao". Tutto con lei è un grande passo avanti, anche le cose più semplici e banali.

Oggi aveva non aveva i capelli lisci come al solito, erano ondulati. Poco trucco come sempre, una cosa che amavo di lei era che si truccava poco, non come le altre che erano tutte ritoccate e rifatte.
Poi aveva una magliettina gialla poco scollata e a maniche lunghe, una minigonna in pelle nera e le scarpe da ginnastica bianche.

«Hai organizzato tutto tu? Da solo?» disse sbalordita.

«Sì» risposi.

«Ti sei dato da fare questa volta, non è da te» no, non è decisamente da me, ma per lei questo e altro.

«Dai, siediti».

Fece come detto e iniziò a prendere qualcosa da ogni piatto e metterlo nel suo.

«Okay, ti sei decisamente superato» disse ingoiando una tartina al lampone, mi ricordavo che le adorava.

«Ti va di andare a fare un passeggiata?» proposi non appena vidi che aveva finito di mangiare.

«Volentieri» rispose lei.

Ci alzammo e cominciammo a camminare per una stradina, vicini, molto vicini.

Così provai a prenderle la mano e la strinsi tra la mia. Lei mi guardò stupita, ma non la mosse, anzi la strinse ancora di più, avvicinandosi ancora un po' al mio fianco.

Poi appoggiò anche la testa sulla mia spalla e un brivido mi percorse tutta la schiena.
Avrei voluto che quel momento non fosse mai finito.

Continuammo a camminare a lungo, poi ci sedemmo su una panchina a guardare il tramonto, che quella sera aveva sfumature rosa, rosse e arancioni.

«È molto bello» constatò lei.

«Anche i tuoi occhi lo sono» le dissi sinceramente, avevo un'ossessione per i suoi occhi verde smeraldo.

Lei arrossì e ci guardammo intensamente come la sera precedente.

Ci avvicinammo un po', e sentii il suo meraviglioso profumo di rose provenire dai capelli e di cocco provenire dal suo corpo, sicuramente era il bagnoschiuma che usava, non un profumo.

Eravamo quasi sul punto di sfiorarci le labbra quando qualcosa ci interruppe.

Il mio telefono.

Dio, quanto avrei voluto prenderlo e lanciarlo da qualche parte, per poi fare finta di niente, e riprendere da dove eravamo rimasti.

Risposi senza neanche leggere chi fosse.

«Pronto?» dissi nascondendo quel poco di rabbia che mi era salita.

«Sei occupato?» era la voce del mio migliore amico, Ryan.

«In verità sì, ma dimmi pure».

«Si è rotta la macchina e nessun carroattrezzi è disponibile, potresti venire a darmi una mano?» mi spiegò.

«C-Certo, dammi un momento, intanto mandami la posizione» risposi, e chiusi la chiamata.

«Scusami, il mio amico ha bisogno d'aiuto, è un problema per te?» dissi ad Ariane.

«No, figurati».

Corremmo verso dove eravamo prima e mi aiutò a mettere tutto a posto. Dopodiché ci salutammo solo con un "ciao" e me andai.
Speravo che non ci fosse rimasta male, avrei dovuto trovare un modo per rimediare. Ma almeno era una scusa per rivederla di nuovo molto presto.

Fine pov di Ivan








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