4.0 Appuntamento

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Rachel

Ragioniamo. Posso farcela.

Erano già e quattro meno venti e, considerando che da casa mia all'università ci volevano circa quaranta minuti, ne avevo altrettanti per prepararmi.

Terminai la doccia il prima possibile e guardai per l'ennesima volta l'orologio: mi restava circa mezz'ora. Asciugai i capelli concentrandomi su quell'azione come mai avevo fatto prima, ed ecco che sfumarono altri venti minuti.

Rimasi a fissare l'armadio spalancato per fin troppo tempo, come se avessi chissà quante cose, impiegandoci ben sei minuti a decidere che cosa avrei indossato. Alla fine optai per un vestito nero sopra le ginocchia con scollo a V, un paio di scarpe da ginnastica bianche basse simili alle Adidas Stan Smith ed infine una giacca nera in finta pelle, tutto gentilmente offerto dal negozio dei cinesi.Guardai con riluttanza i trucchi, usando come al solito solo un po' di mascara, l'eye-liner e il lucidalabbra. Per ultima afferrai la borsa e corsi letteralmente fuori dall'appartamento, superando la porta proprio alle quattro e venti spaccate, e proseguii come un fulmine fino alla fermata dell'autobus. Lì vidi il mezzo che minacciava di andarsene senza di me, facendomi così tardare all'appuntamento, dato che lì i pullman passavano ogni venti minuti.

Uscita.

Mi corressi mentalmente, anche se effettivamente la sua faccia aveva lasciato ad intendere altro. Dimenticai momentaneamente quella questione e con uno scatto fulmineo degno di Usain Bolt, raggiunsi il veicolo.

«Grazie, grazie, grazie» dissi all'autista, affannata. Lui rispose con un cenno del capo ed un mezzo sorriso, che ricambiai con quella che probabilmente apparve come una smorfia. Mi sedetti nel primo posto libero che vidi, voltandomi verso il finestrino. Mi appoggiai allo schienale e trassi un lungo sospiro in un tentativo debole di controllare il respiro.

La mia fermata sembrò arrivare dopo un'eternità, ma quando scesi e mi scontrai con il venticello serale, desiderai ardentemente che il viaggio potesse durare ancora un po'. Non ho mai sopportato le stagioni fredde, anzi, le ho sempre detestate profondamente. Quando gli altri bambini facevano angeli nella neve e pupazzi, io me ne restavo a casa, imbronciata, con il piumone fin sopra la testa e la faccia nascosta nel cuscino. E nonostante ormai fossi cresciuta, i miei gusti non erano certo cambiati. Preferivo ancora la televisione,le cioccolate calde ed il divano. Be', non che ne avessi uno, ad essere onesta. In ogni caso, più ottobre avanzava e più io ero restia ad uscire di casa. L'unica eccezione la facevo per recarmi in università e al lavoro. E, apparentemente, per vedere una mia compagna di corso che nemmeno conoscevo.

Mi strinsi nella mia piccola giacca di pelle e salii i gradini con una sorta di corsetta. Probabilmente avevo sottovalutato le basse temperature serali. Mi guardai attorno e lanciai una veloce occhiata al cielo. Un'altra cosa che non ho mai sopportato dell'inverno: fa buio troppo presto.

Raggiunsi esattamente il luogo dove ci eravamo salutate qualche ora prima e mi sedetti sulla scalinata, guardandomi attorno con le braccia serrate a circondarmi il corpo in un vano tentativo di proteggermi un poco dal gelo. Una parte di me temeva che sarei potuta morire di ipotermia, ma il mio istinto mi diceva che ne sarebbe valsa la pena.

Ad un tratto sentii un rumore di tacchi in avvicinamento, così mi voltai verso destra e rimasi del tutto sbalordita. Una ragazza slanciata, vestita completamente di nero, si stava avvicinando. I capelli castani e mossi ricadevano morbidamente sulle spalle, fino a metà schiena; indossava una minigonna nera e un body con le manichea tre quarti che le lasciava le spalle scoperte, lo scollo era sostanzialmente una linea dritta; a mano portava una pochette, sempre nera. La squadrai da capo a piedi con le sopracciglia inarcate, chiedendomi come fosse possibile che non si fosse già trasformata in un cubetto di ghiaccio.

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