Eppure in quel momento, alla fine dei conti, ero libera. Se non avessero arrestato il gestore di quella sorta di bordello, io probabilmente sarei rimasta lì per tutta la mia misera esistenza. O fino a quando la mia pelle non avrebbe ceduto e nessuno mi avrebbe più trovato bella.

Quindi per la prima volta, potevo effettivamente decidere qualcosa per me. Programmare, pianificare e progettare...

Sì, nei miei sogni.

In un modo o nell'altro si era sempre schiavi di qualcosa o di qualcuno. Che fossero i soldi, una persona o semplicemente un'idea. E io mi ritrovavo nella merda perché ero ancora assoggettata a tutte e tre le cose.

Quindi ero senza casa, senza un lavoro e per la prima volta senza sapere cosa fare. Del resto avevo avuto sempre qualcuno che mi imponesse come comportarmi e in quel momento ritornai bambina, incapace persino di orientarmi in quelle strade che dovevo conoscere a memoria.

Ma quella situazione così precaria doveva finire subito così com'era iniziata. Lo dovevo a me stessa, a quella bambina che sperava nel giorno che stavo vivendo proprio in quel momento.

Così mi alzai dal marciapiede, dopo minuti di sconforto totale, e mi incamminai a testa dritta e con un borsone che conteneva i miei unici averi, avendo già in mente la prossima meta.

Il mio ormai ex capo aveva altri due fratelli e ringraziai la mia memoria per non aver dimenticato quel dettaglio, dato che tendevo a scordare tutte le cose che mi sembravano inutili.

A quanto avevo capito i fratelli Lacroix possedevano delle attività, sulla carta totalmente legali, ma tolto il primo strato c'erano decisamente molte altre cose, ed era arrivato proprio il momento di fare una chiacchierata con loro. E per chiacchierata intendevo che li avrei obbligati a darmi un lavoro e una casa.

Dovevo prendere in mano la mia vita.

Impiegai esattamente due ore per arrivare al bar. Non era stato difficile arrivarci, ma trovarlo sì. Quel luogo doveva avere una fama tutta sua perché ogni volta che chiedevo indicazioni le persone quasi correvano via. Quindi ero stata costretta ad andare in alcuni vicoli poco raccomandabili per domandare a chi non avesse avuto paura di rispondermi.

Ormai il sole era tramontato e guardai l'insegna verde al neon con uno strano sorriso sulle labbra.

En Garde, diceva la scritta.

In guardia, significava in francese.

Mi piace, pensai avanzando verso l'ingresso.

Mi accolse il solito odore di fumo, una musica diversa da quella commerciale che si sentiva in quel genere di posto e una massa di persone che si comportava come se quel bar fosse una discoteca. Non c'erano chissà quanto clienti, ma la maggior parte era in pista.

Mi guardai un po' attorno.

Ad una prima occhiata quel luogo dava l'idea di esser abbandonato, ma se aguzzavi la vista e facevi caso ai dettagli, ti accorgevi che lo stile diroccato era voluto. Sembrava quasi una vecchia locanda del Sicento, con boccali di ferro sui tavoli, pelli, qualche utensile e cesti appesi al muro e tutto rigorosamente intagliato nel legno. C'erano anche delle rifiniture più barocche, dei piccoli ghirigori agli angoli dei tavoli e nella zona del barman, che aveva un'alta parete piena di liquori e whiskey della miglior specie, facendo così rendere conto al cliente che in fin dei conti non si trovava in una vera e propria bettola.

Mi diressi proprio lì e mi andai a sedere su uno degli alti sgabelli, stringendo bene la presa del mio borsone.

Il barman era un tipo giovane e carino proprio come la sua collega. Era ovvio che fossero di bell'aspetto, dovevano attirare più persone possibili.

Holy sinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora