Capitolo 30

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Nik’s pov

Mi guardo di nuovo allo specchio. Osservo i capelli biondi scompigliati, le occhiaie marcate dovute alle numerose notti insonni, lo sguardo spento nei miei occhi scuri.
Gli stessi occhi di cinque anni fa, con la stessa paura.

Perché ho paura. Ho terribilmente paura.

Ne ho così tanta che non so più come andare avanti e per un istante, quello subito dopo aver scoperto che Carter Norris, l’assassino, è scappato, ho realmente pensato di arrendermi e perdermi nell’oceano, sotto ai flutti spumosi e limpidi.
Ma non ha funzionato e Alya, l’unica cosa che desidero realmente proteggere, ha rischiato la sua vita per salvare la mia.

Nik, sono Nik.
Sono Nik e non avrò paura. Mi ripeto come un mantra, ma non funziona, so solo che non ho più intenzione di arrendermi. Lotterò anche stavolta, lo troveranno, devo solo rimanere più al sicuro possibile. Devo solo tagliare di nuovo i ponti con tutti. Devo solo andare avanti, passo dopo passo.

Passo dopo passo.

Ma ho paura… ho così tanta paura…

Prendo il cellulare e apro di nuovo quella chat.
Sono tornato, preparati.

Vorrei essere forte come Alya, o arrogante come il suo nuovo ragazzo, Dorian Sepherd. Lo detesto, ma è una benedizione che Alya stia con lui, questo vuol dire che per l’assassino sarà più difficile capire quello che c’è tra noi, Dorian è il perfetto diversivo.

Certe volte mi chiedo come sia possibile che Carter Norris abbia capito chi fosse quel ragazzino malato d’amore sulla spiaggia, incurante del pericolo che stava correndo quel bambino.

Poi mi ricordo che il motivo lo conosco...

Otto anni prima...

<<Nik! Datti una mossa!>> Esclama un'allegra Alyssa di nove anni, rivolgendomi un sorriso sdentato.
<<Arrivo, ma fai piano!>> Sibilo sgusciando insieme a lei per i corridoi deserti della scuola. Fuori è notte e noi non dovremmo assolutamente essere qui, ma ormai abbiamo finito la quinta elementare e ci sentiamo intoccabili. Non avremo più a che fare con queste aule, non vedremo più questi insegnanti, non osserveremo più con impazienza questi orologi sperando che il tempo passi in fretta e che la scuola finisca.

Siamo felici.
Siamo finalmente pronti per una nuova scuola, che con sé porta la speranza di qualcosa di migliore, di una nuova avventura.
Siamo pronti a lasciarci tutto alle spalle, come un sogno il cui ricordo comincia a sfumare con le prime luci dell'alba.
O meglio, siamo quasi pronti. Abbiamo ancora una cosa da fare.

Questi cinque anni sono stati belli con i loro alti e bassi, come un elettrocardiogramma, ma c'è un maestro che ce ne ha fatte vedere di tutti i colori.
Insegna italiano e lo abbiamo avuto solo in quinta. Non ci è mai piaciuto e la cosa è reciproca.
Per tutto l'anno non ha fatto altro che rimproverarci per qualsiasi stupidaggine. Nelle sue ore non potevamo ridere, non potevamo chiacchierare. Dovevamo stare in silenzio e ascoltarlo, anche se a volte mentre ci fissava il suo sguardo si appannava, come se stesse pensando ad altro, e quando si riprendeva la vena sulla fronte pulsava con forza e gli tremavano le mani, come se stesse reprimendo l'impulso di colpirci.

La goccia che ha fatto traboccare il mio vaso è stato quando ha preso il tema di Alya, lo ha letto con aria derisoria a tutta la classe e poi ha cominciato a insultarla.
La traccia del tema era descrivi qualcosa capace di farti piangere. Lei aveva parlato delle stelle, le aveva paragonate a diamanti nel cielo scuro, fari per le anime sperdute che vagano da sole sulla Terra e che trovano nelle stelle il riflesso del loro tormento: così tante eppure così lontane l'una dall'altra, condannate alla solitudine eterna. Alya ha scritto che questo la fa piangere, perché anche lei era sola, ma poi ha trovato la sua galassia e il suo sole allo stesso tempo e io mi sono sentito scaldare il cuore, perché so che parlava di me.

E le stelle ci invidierannoWhere stories live. Discover now