Capitolo 8 - Alary

81 12 144
                                    

Dopo che Zosia era passata per Ejis e dopo che Alary ed Esra avevano attraversato incolumi la Valle degli Unicorni, si stavano dirigendo verso la vecchia capitale di Asterian. Era un luogo abbandonato che era staro ribattezzato "Giardini di Zadar" proprio in onore del padre di Zosia, che quando era ancora in vita, si era adoperato in opere di bonifica e ristrutturazione della vecchia città in rovina. Con la sua morte, l'antica capitale era morta con lui, una seconda volta.

Alary, Zosia ed Esra proseguirono a ritmo sostenuto tra i boschi per tre lunghissime settimane e, alcune volte quando il terreno lo permetteva, correvano anche.

Le montagne invece di diradarsi lungo il cammino, sembravano aumentare e diventare sempre più alte e rocciose, le valli si facevano sempre più strette, le radure più rare.

Sempre più spesso dovevano arrampicarsi su pareti verticali per superare valichi enormi e attraversare sentieri a strapiombo sospesi sopra il nulla assoluto, dove nessuno poteva permettersi un passo falso, ma il panorama... il panorama era uno spettacolo da togliere il fiato.

Nonostante le raffiche di vento sferzanti e i colori grigi del pieno inverno, sembravano luoghi magici, surreali, selvaggi e ameni allo stesso tempo.

Mantoscuro, il druido che parlava con i Sussurri, li aveva seguiti per un pezzo di strada e poi era semplicemente sparito e non era più ricomparso, nessuno sembrò disperarsi.

Una mattina finalmente Zosia disse:

«Ci siamo».

Alary non capì se erano arrivati alla capitale o no, ma dovevano essere in un luogo monto alto, visto il freddo pungente ed erano circondati da montagne rocciose sottili e aguzze, tutte stranamente simmetriche.

«Allora è questo il gigante di Carytria...» commentò Esra.

«Già» disse Zosia «Fa sempre un certo effetto».

«Quale gigante?» chiese Alary confusa.

Zosia indicò con la mano tutto quello che avevano intorno.

«Questo...» disse.

Alary seguì quello che Zosia indicava ma continuava a non capire dove fosse questo gigante, magari era un modo di chiamare le montagne in cui si trovavano.

Continuarono la marcia interrotta solo da uno sperone di roccia altissimo, piantato in mezzo alla strada come se fosse caduto dal cielo e alzando gli occhi non si riusciva a vederne la fine. Gli girarono intorno, le pareti erano perfettamente lisce, Alary le accarezzò affascinata: come faceva la natura a creare cose così stupefacenti? Sembravano quasi lavorate a mano. Era forse quella roccia che chiamavano il gigante?

Quando il terreno si fece leggermente in discesa, si lasciarono alla spalle quel luogo dalle strane montagne.

«Andiamo sullo sperone per vederlo dall'alto?» chiese Zosia.

Esra sembrava entusiasta, solo Alary era perplessa ma accettò di buongrado.

Così iniziarono ad arrampicarsi su di un dirupo molto stretto da cui si dipartiva una sporgenza rocciosa orizzontale piatta e larga, sembrava quasi fatta apposta per fermarsi e osservare qualcosa.

Quello che Alary vide davanti a sé la fece sbigottire: trattenne il fiato, oscillò e cadde seduta a terra.

C'era uno scheletro sotto di loro, uno scheletro dalle dimensioni gigantesche, di cui riuscivano a vederne solo la parte superiore. Avevano appena attraversato la cassa toracica, dove ne rimanevano parte delle costole rotte e appuntite, lo sperone di roccia altissimo e stranamente lavorato era una spada piantata in mezzo a quel torace, una spada che solo un altro essere di eguali dimensioni avrebbe potuto impugnare.

Il ragazzo maledettoWhere stories live. Discover now