Shawn si accovacciò, il suo volto era ora all'altezza del mio. «Vèna» intonò ancora, più calmo di quanto non fosse mai stato.

«Dillo» lo intimai.

«Cosa?»

«Che avevi ragione e dovevo starti a sentire» confessai. Lui mi scrutò con i suoi occhi verdi, pallidi e stanchi. Sapevo cosa vedeva, potevo scorgere il mio riflesso in quelle colline sbiadite: un bocciolo rinchiuso nei suoi petali, torchiato da spine aguzze. La stessa posizione che avevo scelto mi rendeva fragile come l'immagine che mi aveva affibbiato Pel-Di-Carota, accoccolata su me stessa nel tentativo di proteggermi da ciò che mi circondava. Dal riflesso sembravo impaurita, in realtà era solo istinto di conservazione. Lo stesso che mi aveva spinta a colpire Paterson malgrado non avessi mai alzato mano su nessuno.

Per rispondermi usò una delle sue tattiche preferite: la modesta consapevolezza di essere sempre un passo avanti a tutti. «Se lo sai, non c'è bisogno che te lo ripeta io».

Mi scappò un risolino. Non mi aspettavo del conforto da parte sua, però, nella scala delle reazioni Shawn, quella poteva essere considerata una specie di premura. Provai a chiederli un consiglio senza essere troppo diretta, con lui non funzionava mai bene. «Ci sono cose che so, altre che non so. Ad esempio, come pensavi che potessi farmi eliminare...»

«Vuoi andartene?» s'incuriosì.

«Sono brava» mi vantai. «Ma come già sai, preferisco la cucina alla rappresentanza».

«La prova è stata orribile» disse, lasciandomi sbigottita. Per una volta aveva messo da parte i giochetti e i giri di parole, ed era arrivato dritto al punto. «So che sei rimasta in infermeria, ieri».

Se non fosse stata per la facciata di marmo e il tono distaccato, avrei potuto pensare che fosse preoccupato per me. Aveva sempre avuto uno strano modo di relazionarsi con le persone, ancora prima di "tornare dalla morte". «Come sai che ero lì?»

«Il tizio che ti ronza sempre intorno era venuto a cercarti dopo la prova e gli avevano detto che non eri in buone condizioni. Lui lo ha detto a Quiana, e lei ho riferito a me».

Mentre io mi struggevo, la gente faceva il passaparola sulle mie condizioni.

«Tutti e due erano preoccupati per te» aggiunse.

«Tu no?» chiesi, già sapendo di non ricevere alcuna risposta. «William lo capisco, ma la ragazza, Quiana, perché dovrebbe?». Era dal giorno in cui mi aveva rivolto la parola che la trovavo strana: la reazione esagerata che aveva avuto, il fatto che provasse a difendermi e si preoccupasse, che Shawn le rivolgesse la parola. Niente aveva senso.

«Mi ha detto che non l'avevi riconosciuta».

«Perché dovrei?»

Scoppio a ridere, neanche gli avessi detto una battuta. «Sei incredibile Vèna. Gliel'ho detto di non prendersela, a momenti non riconoscevi me».

«Di che parli?» continuai confusa.

«Quiana Meir. Questo nome non ti dice proprio niente?»

Ci pensai un po', a furia di ripeterlo stava acquistando un suono familiare. Aveva il sapore della mia infanzia, quella parte più spensierata, dolce quasi a essere irritante. C'era una ragazzina così nei miei ricordi: irritante e svenevolmente dolce. «Non sarà...» tentai di indovinare, prima di essere bruscamente interrotta.

«Quello cos'è?» disse, afferrandomi la mandibola e alzando il volto per osservare meglio qualcosa. Non mi ricordai del bendaggio finché non lo toccò.

«Ah» esalai amareggiata. «Ho avuto un altro incontro con Paterson».

«Era lì dentro durante la tua prova?» domandò con un guizzo negli occhi. Come spesso accadeva quando qualcosa attirava la sua attenzione, il verde impallidito dei suoi occhi riacquistava colore, allo stesso modo in cui i capelli sembravano più rossi quando si arrabbiava.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Where stories live. Discover now