IL BRACCIALETTO DI HANNA

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P.O.V HANNA

"E così sembra che stessero facendo sesso nella camera dei genitori di Carolyn!".
Stavo fissando la mia migliore amica, Mona Vanderwaal, dal'altro lato del tavolo. Mancavano ormai solo due giorni all'inizio della scuola, e ce ne stavamo sedute sulla terrazza del caffè in stile francese del King James Mall, il Rive Gauche, a bere vino, mettere a confronto 'Vogue' con 'Teen Vogue' e spettegolare. Mona conosceva sempre i segreti più intimi di tutti.
Bevvi un altro sorso di vino e notai un tizio sulla quarantina che ci osservava con sguardo lascivo. Il solito Humbert Humbert, pensai, senza dirlo ad alta voce. Mona non avrebbe certo colto la citazione letteraria, ma solo perché ero la ragazza più desiderata della Rosewood Day, ciò non significava che non fossi capace, di tanto in tanto, di leggere i libri consigliati per l'estate, specialmente quando prendevo il sole a bordo piscina senza niente da fare. Oltretutto Lolita sembrava deliziosamente osceno.
Mona si voltò per capire chi stessi osservando. La bocca le si piegò in un sorriso cattivello.
"Facciamogli vedere".
"Al tre?". Spalancai gli occhi.
Mona annuì. Al tre, ci sollevammo lentamente l'orlo della minigonne più vertiginose, mostrandogli gli slip. Humbert sgranò gli occhi, versandosi il bicchiere di pinot nero sul cavallo dei pantaloni. "Merda!", Strillò, prima di schizzare in bagno. "Ben fatto", disse Mona. Gettammo i tovaglioli nelle insalate ancora intatte e ci alzammo per andarcene.
Io e Mona eravamo diventate amiche durante l'estate tra la terza media e la prima superiore, quando eravamo state entrambe scartate per entrare a far parte delle Cheerleader della Rosewood. Decisi a entrare in squadra l'anno successivo, ci eravamo impegnate a perdere diversi chili in modo di inventare come quelle ragazze carine e tutto pepe che i ragazzina lanciavano in aria. Una volta magre e splendide, però, avevamo deciso che diventare Cheerleader era un'ambizione ormai sorpassata e che le Cheerleader erano delle perdenti, per cui non avevamo mai riprovato a entrare in squadra.
Da allora, Io e Mona avevamo condiviso tutto. Be', quasi tutto.
Non avevo mai confessato a Mona in che modo fossi riuscita a perdere così velocemente, era troppo volgare per parlarne. Mentre seguire una dieta rigida era sexy e ammirevole, non c'era niente, assolutamente niente di attraente nel mangiare una tonnellata di schifezze grasse, unte e ripiene di formaggio per poi rivomitarle tutte. In ogni caso, avevo ormai superato quella brutta abitudine, per cui non aveva più molta importanza.
"Hai visto che quel ragazzo stava avendo un'erezione?", sussurrò Mona, rimettendo le riviste in pila.
"Che cosa ne penserà Sean?"
"Riderà", risposi sicura.
"Oh, non penso".
Alzai le spalle. "Potrebbe", continuai. Mona sbuffò. "Già, mostrare le mutande agli estranei si sposa perfettamente con un voto di castità".
Abbassai lo sguardo, fissandolo sulle scarpe firmate Micheal Kors. Il voto di castità. Il mio ragazzo, l'un credibilmente popolare e straordinariamente sexy Sean Ackard, quello che avevo desiderato fin dalla seconda media, negli ultimi tempi si stava comportando in modo strano. Era sempre stato un perfetto boy scout americano:era volontario alla casa di riposo e serviva il tacchino ai senzatetto per il giorno del Ringraziamento. Ma durante l'ultima serata trascorsa insieme, mentre Io, Mona e un gruppetto di altri ragazzi bevevamo Corona di nascosto nell'idromassaggio
In legno di cedro di Jim Freed, Sean aveva espresso il massimo boy scout che era in lui; aveva infatti annunciato, con una punta di orgoglio, e di aver promesso di non fare sesso prima del matrimonio. Tutti quanti, io inclusa, eravamo rimasti troppo sbalorditi per replicare.
"Non fa sul serio", dissi in tono confidenziale. Come avrebbe potuto? Un gruppo di ragazzi aveva fatto lo stesso voto; Io avevo pensato che si trattasse di una moda passeggera, come i braccialetti di Lance Armstrong o lo yogilates.
"Pensi davvero?". Mona fece un sorrisetto compiaciuto, spostandosi la frangia dagli occhi. "Vediamo che cosa accadrà alla festa di Noel la prossima settimana".
Io drigignai i denti. Era come se Mona stesse ridendo di me.
"Voglio andare a fare shopping", dissi, alzandomi.
"Che ne pensi di Tiffany?", chiese Mona.
"Fantastico".
Facemmo un giro della nuova ala del King James Mall, tra le vetrine di Burberry, Tiffany, Gucci e Coach, che odorava dell'ultimo profumo di Micheal Kors e pullulava di graziose ragazzine pronte al ritorno a scuola, con le loro bellissime mamme. Alcune settimane prima, durante una sessione di shopping in solitaria, avevo scorto la mia vecchia amica Spencer Hastings sgattaiolare dentro Kate Spade, e si era ricordata di come solitamente facesse un ordine speciale di borse a tracolla in nylon da New York, per l'intera collezione stagionale. A me era sembrato divertente conoscere certi dettagli riguardanti qualcuno di cui non ero più amica e, mentre la osservavo esaminare accuratamente la valigeria in pelle di Kate Spade, mi ero chiesta se Spencer stesse pensando ciò che stavo pensando anche io: che la nuova ala del centro commerciale era proprio quel tipo di posto che Ali DiLaurentis avrebbe adorato.
Pensavo spesso a tutto ciò che Ali si era persa: il falò di ritorno a casa dell'anno precedente, la deliziosa festa data da Lauren Ryan per i suoi sedici anni nella casa di famiglia, il ritorno delle scarpe a punta tonda, le ultime custodie per IPod nano firmate Chanel. E l'IPod nano, in generale. La cosa più grande che si era persa Ali? La mia trasformazione, naturalmente. Ed'era una tale delusione. A volte, piroettando davanti al mio specchio, mi immaginavo che Ali fosse seduta dietro di me, intenta a criticare i miei completini, come faceva di solito.
Mi ero persa davvero tanti anni da sfigata cicciona e appiccicosa, ma le cose così diverse ormai.
Assieme a Mona procedetti veloce verso Tiffany; era pieno di vetrine e lui bianche che facevano brillare ancora di più gli splendidi diamanti.
Mona iniziò la caccia tra le teche e poi alzò lo sguardo verso me.
"Che ne dici di una collana?"
" E di un bracciale con pendenti?", sussurrai.
"Perfetto".
Ci avvicinammo alla custodia e osservammo il braccialetto in argento e il classico ciondolo a forma di cuore. "È davvero carino", sospirò Mona.
"Le interessa?", Chiese un elegante commessa.
"Oh non saprei", risposi.
"Le starà sicuramente benissimo". La donna aprì la teca e infilò la mano per afferrare il braccialetto. "È in tutte le riviste".
Detti una gomitata a Mona. "Provalo".
Mona porse il polso. "È davvero bello". La commessa si volto verso un altro cliente. Subito, Mona fece scivolare il braccialetto dal polso alla tasca. Semplicemente.
Strinsi le labbra e feci segno a un'altra commessa, una ragazza dai capelli biondi e un bel rossetto color corallo. "Potrei provare quel braccialetto, quello con il pendente rotondo?", chiesi.
"Certo!", rispose la ragazza, che aprì la vetrinetta. "Anch'io ne ho uno identico".
"Potrei vedere anche quegli orecchini abbinati?", chiesi indicandoli.
"Certo".
Mona intanto si era spostata verso il reparto diamanti. Io tenevo il braccialetto e gli orecchini in mano; il completo costava 350 dollari. Improvvisamente, uno sciame di ragazze giapponesi si accalcò davanti al balcone, indicando in massa un altro braccialetto con pendente rotondo nella vetrinetta. Scrutai il soffitto per individuare eventuali telecamere e metal detector alle porte.
"Hanna, vieni a vedere il Lucidalabbra!", strillò Mona.
Mi fermai un attimo. Il tempo sembrò rallentare. Feci scivolare il braccialetto sul polso e poi sotto la manica, e infilai gli orecchini nel portamonete di Louis Vuitton con monogramma e ciliegia. Il cuore iniziò a battermi forte. Quella era la parte migliore dell'intera situazione: la sensazione prima che tutto avvenisse, che mi faceva sentire eccitata e viva.
Mona mi sventolò davanti agli occhi un solitario. "Non mi sta benissimo?"
"Andiamo". l'afferrai per il braccio. "Andiamo da Coach".
"Non vuoi provare nulla?", chiese Mona imbronciata.
Temporeggiava sempre quando io avevo finito il mio lavoretto.
"No", dissi. "Le borsette ci stanno chiamando". Sentii la catena d'argento del braccialetto premermi dolcemente sul braccio. Dovevo uscire mentre le giapponesi erano ancora affaccendate al balcone. La commessa non aveva neanche rivolto di nuovo lo sguardo verso di me.
"D'accordo", disse Mona con fare drammatico. Porse l'anello, tenendolo dal diamante - cosa che persino io sapevo che non si doveva mai fare - alla commessa. "Questi diamanti sono troppo piccoli", disse.
"Mi dispiace".
"Ne abbiamo altri", abbozzò la commessa.
"Andiamo", ripetei, afferrando Mona per il braccio.
Il cuore mi batteva all'impazzata mette ci allontanavamo da Tiffany.
Il ciondolo mi tamburellava sul braccio, ma tenni la manica abbassata.
Ero ormai un'abile professionista in materia; prima erano state le caramelle sfuse da Wawa, poi i CD da Tower, infine le magliette da Ralph Lauren, e ogni volta mi sentivo sempre più forte e determinata. Chiusi gli occhi e attraversai la soglia, tenendomi forte per l'eventuale scattare degli allarmi.
Ma non successe niente. Eravamo fuori.
Mona mi strinse la mano. "Ne hai preso uno anche tu?"
"Certo", risposi, mostrandole rapidamente il braccialetto al polso.
"E questi". Aprii il portamonete e mostrai a Mona gli orecchini.
"Merda". Mona sgranò gli occhi.
Io sorrisi. C'era qualcosa di esaltante nel superare la propria migliore amica. Per scaramanzia, sgattaiolai via da Tiffany e tesi l'orecchio per sentire se qualcuno ci stesse inseguendo. L'unico rumore era il gorgogliare della fontana e una versione di Oops! I did it again rielaborata da Muzak.
Già, l'ho fatto di nuovo, pensai.

Giovani,Carine e Bugiarde. IncredibiliWhere stories live. Discover now