❝𝑨𝒍𝒍𝒂 𝒇𝒊𝒏𝒆 𝒇𝒊𝒏𝒊𝒊 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒇𝒐𝒏𝒕𝒂𝒏𝒂❞ (𝒔𝒑𝒆𝒄𝒊𝒂𝒍𝒆) 🪐

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Era mezzanotte, quando cominciarono a portarmi nella foresta, designata come confine del regno.

Per carità, non dicevo che essere precisi sia una pecca, ma mi avevano portato lì proprio a mezzanotte. Neanche il tempo di salutare mio padre e mangiare un pezzo di pane e bere dell'acqua presa dalla sorgente vicino casa.

Che modi.

Sentivo le loro mani guantate, strette sulle mie braccia scoperte.
Mi avrebbero lasciato il segno quelli che venivano chiamati "cavalieri".
L'unica cosa che illuminava la strada era una candela, che tenevo sulla testa, a segnare il fatto che fossi una condannata.

Ma per favore.

«Sai mi stupisco che la regina non ti abbia decapitato» affermò il cavaliere alla mia destra.
Doveva portami alla mia morte, e voleva pure mettersi a commentare la mia pena?

Ma scherzava?

«Nessuno te lo ha chiesto, Habret, perciò stai zitto» disse l'altro, alla mia sinistra, lanciando al compagno una sguardo seccato. Da quel che potevo capire era un suo superiore, se non addirittura il primo cavaliere.

Habret si zittì subito.

«Non lo avrebbe mai fatto» risposi, volevo avere voce in capitolo lo stesso. La voce mi uscì sottile, quasi un sussurro, ma sicura, più forte di dieci pugnali di ferro stellare.
Quest'ultimo, lo lavorava mio padre, prima di diventare anziano e non poter più farlo e andare direttamente.
Col tempo, inoltre, mi ha insegnato che ci erano altri tipi ancora di ferro, metallo, rame e così via.
Vi era il ferro solare, quello nuvolo. Troppi da ricordare tutti i nomi, non avevo la memoria di mio padre.

«E perché mai? La nostra regina non è mai stata buona» ribatté Habret. Mi strinse più forte il braccio, e quasi credevo me lo avesse rotto.

Quel maledetto.

«Osa dire un'altra cosa del genere e spedisco te nella foresta, senza lasciare alcuna traccia del tuo corpo» disse l'altro, dandogli un colpo sulla spalla, per nulla amichevole, che quasi lo fece cadere.
Sarebbe stato divertente per certi versi, ma poi ci avrebbero messo altri cinque minuti e allora non finivamo più.

«Ma almeno la principessa lo è. Non appena diventerà regina sono sicura che sarà migliore di sua madre» affermai, guardandomi intorno. Le mie gambe tremarono, mi si accapponò la pelle e quando mi arrivò una folata di vento gelido, quasi mi tagliò le guance.

Mannaggia a sto Regno della luce solare, quando faceva notte c'era freddo, il coprifuoco vietava di stare fuori dopo le sette e due quarti del tramonto.
Avrei sinceramente preferito vivere nel Regno della luce lunare, almeno sarebbero stati più clementi con me e il freddo si sarebbe trasformato in un caldo accettabile.

Ero arrivata.

Gli alberi alti e fitti si estendevano davanti a me come le persone che mi giudicarono colpevole di quello che per loro era un crimine.
Amare qualcuno del tuo stesso genere era un crimine?
Buio. Riuscivo a vedere a meno di un colbon.
Io non avevo paura.
Se quella era la pena che dicevano meritassi, almeno sapevo che l'avevo avuta per aver amato qualcuno.
Per non aver seguito le regole.
Ad essere sincera, le regole non mi erano ai piaciute. Ti dicevano cosa fare, come farlo.
Erano ordini più che regole.
Ed una discendente dei poeti stellari seguiva solo una regola, nata millenni prima che gli uomini diventassero sedentari e decidessero che vi era bisogno di qualcuno sopra di loro per vivere in pace e civilmente.

Mi fecero camminare altri due colbon, facendomi poi cadere sul terreno, sporcando il vestito turchese che mi aveva regalato lei.
Ripeto, che modi, non avevano il minimo riguardo nemmeno per i vestiti della principessa. Altro che soldati e cavalieri.

𝗔𝗥𝗧𝗘𝗠𝗜𝗦 || 𝑂𝑛𝑒 𝑆𝒉ꪮ𝑡 𝑎 𝐶𝑎𝑠ꪮ Where stories live. Discover now