Sgranocchiò porcherie, roba che i salutisti non toccherebbero neanche, mentre ascoltava le notizie senza grande interesse. Aveva nelle mani l'odore di quella ragazza, Faith forse, e non gli dispiaceva sentirla ancora gridare il suo nome nella mente. Era stata decisamente una gran scopata. Nel vano del camioncino, in piedi, semivestiti e accaldati dalla serata, accecati da una voglia irrefrenabile di sesso. Dean cominciò a chiedersi se fosse auspicabile un nuovo incontro; sorrise eccitato ripensando a quel bel paio di tette.

Accompagnato da quella visione, andò ad aprire il rubinetto della doccia, si tolse i vestiti gettandoli a terra e si immerse nel relax più totale, in attesa di buttarsi a letto e sprofondare in un sonno lunghissimo.



Jane si svegliò intorno alle undici del mattino. Gli occhi verdi e attenti, non si ricordava molto, ma qualcosa c'era che le ronzava in testa. Quando il medico entrò nella stanza lei balzò fuori dal letto e indietreggiò, mentre lui le spiegava parte di quello che era successo.

Col passare dei minuti, riordinando le immagini che le tornavano in mente e ascoltando quel racconto che le suonava tanto lontano quanto incredibile, si calmò. Non del tutto, rispettando i ritmi usuali ci sarebbero voluti giorni. Il dottor Haydensen usò molto tatto, con voce compassata si presentò e le spiegò a grandi linee cosa facevano in quell'ospedale, poi la convinse a tornare a letto. Qualcuno sarebbe venuto presto a darle maggiori spiegazioni. Avrebbe saputo tutto con la dovuta calma, ora doveva solo pensare a riprendersi.

Il medico lasciò sola la nuova arrivata e Troy, che aveva salvato Jane quella notte, ora era lì fuori che aspettava con ansia sue notizie.

«Non sembra ricordare molto della sua vita esattamente come gli altri».

«Sarà più facile» Troy sapeva che il ricordo complicava le cose. «E del resto?»

«Ricorda i Persuasori, certo non del tutto. Gli occhi, più che altro, e le voci».

«Le voci?» Troy era incuriosito.

«Li sentiva, abbastanza chiaramente. O almeno così dice... » il medico, pensieroso, fissò un punto invisibile davanti a lui «Indagheremo».

Troy non voleva entrare. Era passato troppo poco da quando aveva portato l'altra Jane in una stanza simile, ma allo stesso tempo questa Jane era diversa. La prima che riportava a loro di voci. I Persuasori non parlavano; a quanto si sapeva erano afoni, comunicavano mentalmente proiettando immagini che le onde cerebrali interpretavano come realtà. Era così per tutti, tranne che per i Reagenti. Loro non ci cascavano, a meno che alcol o droga non li confondessero, ma fino ad allora nessuno li aveva mai sentiti. Quella Jane forse era una Reagente evoluta.

Rimase davanti alla sua porta per qualche minuto, poi si convinse a tornare più tardi. Bisognava darle il tempo di riposare, di rilassare i nervi, in fondo lì era al sicuro. Ora che lo sapeva non c'era fretta, non troppa almeno. La guerra poteva continuare anche senza di lei, per quel giorno.

Jane fissava il vuoto. Nella sua mente vorticavano immagini confuse, ma alcuni frammenti le confermavano che era tutto vero. Sapeva che non le stavano mentendo. Sapeva che l'avevano protetta, curata e portata via da lì. Non sapeva bene come c'era finita, ma le sembrava irrilevante. Nel momento in cui aveva visto quei "Persuasori", come li aveva chiamati il medico, la sua vita era cambiata. Aveva ucciso per la prima volta una creatura vivente, qualsiasi cosa fosse. Sentiva ancora nelle mani la forza e il dolore che l'avevano spinta a trafiggere quel torace. La cosa strana è che non era spaventata, ma forse più sorpresa di non sentirsi in colpa. Uccidere era stato facile, forse perché erano creature terrificanti. Sapeva che lo avrebbe fatto di nuovo, ancora e ancora. Senza stancarsi. Dentro di sé, ne aveva la certezza.

Infastidita e dolorante, si sfiorò appena il collo nel punto in cui le avevano iniettato il siero: era duro e pulsava. Veleno contro veleno. Difficile capire che cosa le aveva fatto più male. Il bacio della creatura, invitante e mostruosa allo stesso tempo, oppure il salvataggio.

Jane sentì una presenza dietro la porta e si alzò a controllare. Non era più attaccata alla flebo, quindi muoversi era più semplice, anche se faticoso.

Aprendo la porta vide Troy, proprio lì davanti, braccia conserte e schiena appoggiata al muro, che sembrava attendere non si sa bene cosa. Ricordava i suoi capelli spettinati mentre si chinava su di lei. Sorrise.

«Non entri?» gli disse.

«Volevo che tu riposassi un po' prima di iniziare».

«Iniziare cosa?» Jane abbassò la testa abbandonando lo sguardo negli occhi di lui, il suo modo per essere seduttiva.

«Entriamo» Jane percepì il suo malumore.

«Giornata difficile?» gli domandò.

«Non so, forse la tua è stata peggio» lui distolse lo sguardo.

«Grazie, comunque».

«Ti ricordi qualcosa?» tornò con i suoi occhi scuri in quelli di Jane.

«Non tutto, ma a grandi linee sì».

«Sai chi sei?»

«Jane Doe» lesse la cartella dopo averla presa dal bordo del letto, «o sbaglio?»

«Sai che non è così, vero?» cercò di osservarne la reazione, ma Jane guardò altrove.

«Non importa, non più dopo la notte scorsa. Cosa dovevi dirmi?»

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