VI ~Fetta d'inferno~

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Ho ancora la testa dolorante dalla sera scorsa, nonostante gli antidolorifici di Samantha, non sono riuscita comunque a placare il martello che ancora ora continua a torturarmi le tempie.

La musica, le luci, il fumo... il fumo. Sono certa al cento per cento che è quello la causa del mio mal di testa.

Piego la testa sul libro di letteratura su cui sono immersa da tre ore e mezzo, e stringo le ciocche bionde fra le dita cercando di non perdere la ragione.

Scene sfocate di ieri mi balzano in mente come a ricordarmi che lo studio è l'ultimo problema a cui dovrei pensare.

Ho assunto sostanze che i McLay non dovrebbero assumere. Forse mi sono esposta troppo.

Sospiro fra le mani, e inevitabilmente penso alla minaccia che ho architettato per quel biondino, che sembrava più divertito da tutto quello che spaventato.

Sollevo lo sguardo sul tablet davanti a me, che segna l'arrivo di una decina di messaggi da Ray e Charlene.
Non sono solita rispondergli prima delle tre ore, perciò sblocco l'ipad e, trascinando la penna sullo schermo, mi imbatto nelle ultime notizie.

McLay coinvolti in uno scandalo?
Minacce in arrivo per la famiglia più in voga di Seattle o lo sparo è stato una coincidenza?

Afferro l'aggeggio fra le mani, scorrendo sempre più veloce le notizie.
Tutte uguali.
Tutte scrivono di noi.

Porto la mano sulle labbra, arrestando le mie pupille sullo schermo quando appare un volto.
Un volto ben familiare.

O'Connell.
L'uomo con cui ho ballato, la sera della beneficienza, nella villa degli Shimizu.
E qualcosa, nel mio cervello, entra in cortocircuito.

Lancio quasi il tablet contro il letto, facendo balzare giù Dior che in un miagolio, zampetta via dalla mia stanza.

Il suo atteggiamento, il suo ruolo in quella serata non mi è sembrato troppo scontato.
Troppo utile.

Ora che ci penso, lo sparo è avvenuto non troppo dopo il nostro momento intimo, che non sarebbe mai dovuto accadere.
Dopo che io gli ho risposto in modo sgarbato, insinuando che mi si stesse ingraziando per arrivare a mio padre.

Afferro in un movimento veloce il cellulare dalla scrivania, ficcandolo nella tasca posteriore dei jeans.

Mi catapulto fuori dalla mia stanza, sorpassando Samantha che per poco non fa cadere la roba dei panni puliti per terra.

«Signorina, suo padre mi ha mandata a chiederle di rimanere nella sua stanza» mi urla dietro, mentre la sua voce viene sovrastata da un rumore ben più forte.

Il suono delle eliche di un elicottero per poco non mi spacca i timpani, e non ci metto troppo a intuire che l'elicottero in questione ha scelto il tetto del nostro attico come pista di atterraggio.

Corro per le scale come se al piano di sopra ci fosse un incendio, e la mia voce che urla il nome di mio padre è l'unica che si sente in tutta la casa, fino a quando..
«Torna di sopra, Victoria, sono colleghi del C&C»

Il Columbia Center.

Mi fermo all'ultima rampa di scale, e intravedo Peter con indosso giacca e cravatta, al fianco di mia madre che gli stringe un braccio.

«Sono qui per gli articoli? Dove state andando?» farfuglio, sentendo i muscoli del collo iniziare a tirare.

È mia madre a prendere parola, questa volta.
«Dobbiamo risolvere questa faccenda, tu rimarrai qui»
Mi avverte, prima che Frank le porga la giacca per indossarla.
Non mi ero nemmeno accorta della sua presenza.

Deadly HeartbeatsWhere stories live. Discover now