III ~Il Capo Del Male~

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Carol Goodman diceva che c'è sempre quel primo passo nel pattinaggio, sul fondo secco o sul ghiaccio sdrucciolevole, che sembra impossibile. Impossibile che due sottili lamine di metallo ti possano sostenere.

Io mi sono sempre fidata ciecamente della sottile lastra di ghiaccio che scorre sotto le lamine di metallo.

Chi ha paura, mi ripeto, ha più probabilità di cadere.

Non sento più la punta del naso, il mio fiato si condensa sotto i miei stessi occhi e l'aria fredda e tagliente mi graffia gli zigomi.

È tutto perfetto. I miei pattini che sfrecciano sul ghiaccio rigandolo, il mio corpo che si muove in passi di danza senza musica, gli spalti vuoti.

Se solo non fosse che sono fuggita via da casa, per venire qui.

C'è sempre un buon motivo per scappare. Questo è il mio.

Osservo l'enormità della pista, che a una bambina di dieci anni dovrebbe fare paura da percorrere solo sorretta da una lama sottile. Ma non a me.

Ignoro, volutamente, lo schianto che fa la porta d'ingresso.

Dei passi pesanti e arrabbiati echeggiano nella pista intatta e ghiacciata dal silenzio.

Chiudo gli occhi.

«Victoria!» una voce profonda e graffiata spezza il solenne silenzio.

Spalanco gli occhi sulla figura di mio padre, che con le mani sulla ringhiera che lo separa dal ghiaccio, mi fissa furioso.

«Vieni subito qui!»

Un'altra frase che ignoro, dandogli le spalle.

«Sai che succede se vengo io lì, vero Victoria?» l'ultima parola, il mio nome, continua a suonare in un eco fastidioso.

Arresto la mia corsa, fissandolo da lontano con i pugni serrati.

La sua espressione si indurisce, e il suo dito mi fa segno di tornare da lui immediatamente.

Abbasso lo sguardo innervosito, e prendo a strusciare nella sua direzione, godendomi gli ultimi attimi sul ghiaccio, prima di una severa punizione.

Quando le lame dei miei pattini toccano il legno del pavimento, una mano pesante si posa sul mio avambraccio.
Mia madre è inginocchiata sotto di me, e mi sta slacciando con cura i pattini.

«Non provare a farlo mai più, Victoria McLay, ci siamo intesi?»

Mia madre si rimette in piedi, traballando, e il mio sguardo punta solo lei.

"Dì' qualcosa" le sto dicendo, ma lei si limita ad abbassare lo sguardo.

«Potresti farti male, tesoro, non ci tornerai più» mi dà le spalle, lasciando le mie iridi a fissarla mentre si allontana da me e mio padre.

«Ti abbiamo cercata ovunque! Avevi lezione di spagnolo. Non ne perderai più una! Né di pianoforte, né di equitazione. E il canto? Raddoppieremo le lezioni!»
Ringhia mio padre mentre trascina me, o meglio il mio braccio, verso l'uscita.

Lo strattono via dalla sua presa.
«No! Non mi interessa nulla di questo! Delle tue lezioni! Io non voglio farle. Io non voglio essere tua figlia!» è uno strillo continuo proveniente da una gola troppo sottile per le urla.

Mio padre mi regala il suo sguardo più schifato, mentre stende le dita di una mano nella mia direzione.

Un guanto felpato la ferma.
«Non provare a toccare mia figlia, Peter, non ci pensare mai più» la voce di mia madre trema mentre mio padre si rivolge un'ultima volta a me.

Deadly HeartbeatsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora