𝐗𝐗𝐕𝐈. 𝐑𝐞𝐜𝐮𝐩𝐞𝐫𝐨

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Eracle, nato da Alcmena regina di Tebe e da Zeus, è il più forte degli eroi. Per essere accolto nell'Olimpo deve compiere dodici grandi imprese, "le fatiche di Eracle", che Euristeo, re di Micene, gli indica di volta in volta. Questa è la dodicesima.
Al di là dei limiti del mondo c'era un giardino incantato, dove cresceva un melo dai frutti d'oro, dono di nozze per Era, la regina degli dei.
il giardino era quello delle Esperidi, le bellissime figlie di Atlante e di Espero, la stella della sera, e a guardia dei preziosi frutti era posto un drago dalle cento teste, Ladone.
"Voglio quei pomi!", ordinò il re di Micene, convinto che questa volta Eracle non ce l'avrebbe fatta. Bisogna sapere, infatti, che Euristeo fremeva di rabbia ogni volta che Eracle rientrava vittorioso dalle sue imprese.
L'eroe per prima cosa dovette informarsi sulla strada da prendere, conosciuta solamente da Nereo, un dio marino. Ma quello dapprima cercò di eludere le domande, poi si finse scandalizzato : "Come, tu, nato da una donna mortale, vuoi entrare nel sacro giardino delle Esperidi? Non è possibile". Infine assunse svariate forme per spaventarlo. Diventò in rapida successione un drago, un leone, poi un serpente, e tentò pure con una grande vampata di fuoco. Eracle, reduce da undici immani fatiche, una più dura dell'altra, non era il tipo da scoraggiarsi tanto facilmente. Sollevò di peso Nereo che, convinto dalla sua aria minacciosa, gli indicò la strada, aggiungendo un consiglio "Ammesso, che tu riesca a liberarti di quel drago, non raccogliere i pomi fatati con le tue mani, o te ne pentirai". Eracle riprese il cammino fino a incontrare, là dove tramonta il sole, Atlante, un gigante condannato a reggere sulle possenti spalle la volta del cielo, per essersi ribellato a Zeus.
Eracle pensò di mandare lui a cogliere i frutti sacri, sia perché essendo altissimo, avrebbe scavalcato facilmente il recinto, sia perché era il padre delle Esperidi, custodi del giardino.
"Non posso aiutarti", rispose Atlante.
"Devo reggere il peso del cielo, guai se lo lasciassi andare! E poi c'è quel terribile drago, Ladone, che non mi lascerebbe passare".
Eracle sistemò subito il drago, uccidendolo con una freccia, poi promise ad Atlante di prendere sulle proprie spalle la volta del cielo, mentre lui prendeva i pomi...
Ben contento di liberarsi dell'enorme peso, Atlante gli posò il cielo sulle spalle e poco dopo tornò con tre pomi d'oro. "lascia che li porti io a Euristeo", disse. Ma l'eroe capì che il gigante non sarebbe più tornato, lasciandolo lì per sempre.
Finse di accettare, dicendo ; "Riprenditi il cielo solo per un attimo, mentre mi metto sulle spalle un cuscino....non sono forte come te e mi occorre, per reggere il peso più agevolmente..."
Atlante cadde nel tranello. Quando si fu ripreso il cielo, Eracle afferrò i tre pomi e fuggì di corsa.

 Quando si fu ripreso il cielo, Eracle afferrò i tre pomi e fuggì di corsa

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«Buongiorno fiorellino, vuoi del caffè?»

Atlas aveva dimenticato quanto potesse essere vendicativo Isak. Per anni, quando lavoravano insieme, l'aveva chiamato così, adesso aveva trovato l'occasione giusta per ricambiargli il favore. «Sta' zitto, Isak.» Si accucciò nelle coperte. Era stanco, doveva ammetterlo. Erano successe troppe cose fino a quel momento. Fino a qualche ora prima aveva cercato di spararsi un colpo in testa, poi i suoi amici l'avevano fermato.
Insieme ad Hercule.
Era confuso. Non era mai stato una persona incline al perdono, eppure gli aveva salvato la vita, dopo averlo consegnato al suo aguzzino. Non voleva pensarci, si sarebbe nascosto per un po' nel proprio rancore, rotolandosi nelle coperte calde e ignorando i dolori sparsi per tutta la schiena. Ancora gli bruciava.

•𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐦𝐚𝐫𝐞•Where stories live. Discover now