11. Come faccio a stare lontano da te?

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Capitolo 11: "Come faccio a stare lontano da te?"

Quella mattina mi svegliai con un incredibile vuoto al centro del petto. Era come se fosse angoscia, tristezza, mancanza.
Per fortuna Noah era già sveglio, altrimenti avrei dovuto spiegargli il motivo della mia cera strana di prima mattina e non mi andava di farlo preoccupare.
Scostai le coperte dal corpo e mi decisi ad alzarmi, anche se non ne avevo per niente voglia.
Non era neanche prestissimo in realtà.
Quando arrivai in cucina non c'era praticamente più nessuno, i miei genitori erano sicuramente già usciti per il lavoro e di Noah nemmeno l'ombra.
Così mi preparai del caffè e mangiai un paio di biscotti.
Sembrava che tutto rimbombasse introno a me, il vuoto che c'era in casa era disumano.
Sbuffai mentre riponevo la tazza nel lavandino e mi persi ad osservare il giardino al di là della finestra; eravamo ancora a settembre e il sole in quel giorno rendeva ogni cosa più bella.
Sembrava ancora piena estate, eppure io, mi sentivo come se fuori stesse diluviando, come se il tempo non fosse poi così bello ed era strano. Era stranissimo sentire quelle sensazioni angoscianti di prima mattina e realizzai che Noah aveva terribilmente ragione, eccome se l'aveva.
Io avevo bisogno di parlare con lui.
Finalmente l'avevo ammesso.
Nel profondo so di averlo sempre saputo, ma arrivare ad ammetterlo era una grande conquista.
Così mi preparai, feci una doccia infinita e successivamente asciugai i capelli con cura, lasciandoli ricadere sulle spalle.
Non indossai nulla di particolare, un semplice pantalone nero e la maglia dei Pink Floyd.
Sbuffai ancora mentre afferrai la borsa e la issai in spalla.
Scesi velocemente le scale, rischiando anche di cadere nella fretta e arrivata alla porta afferrai al volo le chiavi dell'auto.
«Dove stai andando?» sobbalzai sentendo la voce di Noah alle mie spalle.
«Hai ragione, hai sempre avuto ragione e non ti do mai ascolto, sto andando da Federico» dissi frettolosamente che quasi mi si incartarono le parole.
«Ferma ferma, mi fa piacere avere sempre ragione, ma il medico ha detto che devi riposare, quindi guido io» disse sorridendomi e allungando un braccio avanti a se per prendere le chiavi.
Incredibile quanto ci tenesse a me.
Gli lanciai le chiavi e frettolosamente mi diressi alla porta, volevo sbrigarmi.

Eravamo finalmente in auto e io stavo letteralmente impazzendo, volevo avere il potere del teletrasporto in quel momento.
Come se non bastasse ci si mise il traffico torinese, semofori rossi, limiti di velocità, sembrava che il tempo si fosse bloccato e io stavo iniziando a perdere la pazienza.
Mi muovevo freneticamente sul sedile, per cercare di calmarmi, ma così facendo stavo innervosendo Noah, che sbuffò più volte.
«Se non la smetti torniamo indietro» disse fermandosi all'ennesimo semaforo rosso.
«Sono nervosa, scusa» dissi sorridendo come una stupida.
Ma era vero, non riuscivo a stare un attimo ferma e pensavo continuamente a cosa potessi dirgli una volta arrivata lì.
In certe occasioni si dovrebbe preparare un discorso? O è meglio andare di pancia? Io proprio non lo sapevo e anche se cercavo di mettere due parole in croce non riuscivo a creare frasi di senso compiuto.

Man mano che la destinazione si avvicinava, sentivo il cuore battere sempre di più, stavo facendo la cosa giusta.
Non avevo più il timore e i miei dubbi che mi attanagliavano l'anima. Ero sicura di quello che volevo. Volevo che lui facesse parte della mia vita, anche solo come amico, ma non volevo assolutamente che ne uscisse per sempre.
E quando finalmente c'eravamo quasi, il mio corpo si rilassò all'improvviso.
«Ecco è qui» dissi indicando casa di Federico.
«Questa cosa che sai dove abita, mette ansia lo sai?» chiese mio fratello tra le risate.
«In effetti» scoppiai a ridere anch'io.
Senza pensarci su due volte aprii la portiera dell'auto e salutai Noah frettolosamente.
Sembrava che quel giorno andassi di corsa per fare tutto.
«Torno a casa, mi aggiorni okay?» disse lui prima di andare via.
Annuii soltanto, alzando la mano a mo'di saluto.
Presi un grande respiro. Non potevo crederci che ero davvero lì.

L'intervista || Federico Chiesa Where stories live. Discover now