Il sole sorgeva, illuminando a poco a poco frammenti di quella vasta palestra all'aperto. Un telo ricoperto di sfumature cardo, su una distesa pervinca a chiazze cosparsa di candide nuvolette. Un'armonia di colori, rovinata da un punto rosso che avanzava in lontananza. Una macchia che stonava sul quadro colorato del cielo, quanto sul grigiore del terreno. Vidi la pace e la tranquillità scivolarmi di mano. Per quanto sperassi di sbagliarmi, la figura del ragazzo si faceva più nitida a ogni passo.

Pel di carota avanzava con grosse falcate, lo sguardo puntato a terra e l'aria di chi era su tutte le furie. Il suo umore era un tutt'uno con le lingue di fuoco scompigliate che aveva in testa. Nella sua furente avanzata, sembrava non avermi notata.
Quando fu abbastanza vicino non persi l'occasione per farmi beffe di lui.

«Qualcuno è arrabbiato» intonai a gran voce.

Con un certo sconcerto, il ragazzo alzò lo sguardo e mi notò, ancora seduta al suolo. Anche a quella distanza potevo vedere i suoi pensieri rappicciolissi attraverso lo sguardo, un verde sbiadito, invaso da una densa foschia.

«Vèna» disse. Era chiaro che fossi l'ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Un incentivo a infastidirlo.

«Per avere quella faccia devi essere stato battuto giù dal letto» constati con malizia.

Soffiò con il naso e mi squadrò dall'alto al basso. «Potrei dire lo stesso di te».

«Ero venuta a rilassarmi, quando ho visto una testa rossa che ribolliva a distanza». Indicai la direzione dalla quale era venuto. «Pensa te che sfortuna».

«Non è proprio il momento per le battute, Vèna» mi ammonì, riprendendo a camminare.

Lo inseguii. Quello stato scombussolato, invece, era davvero perfetto per una rivincita.

«Che ci facevi da quella parte? Lì c'è solo la struttura principale dei Latori» chiesi.

Lì per lì non rispose, poi si voltò di poco e allungò la coda dell'occhio. «È il centro di comando» mi corresse.

«E che ci facevi al centro di comando?»

Velocizzai il passo, sempre più curiosa, fino ad affiancarlo.

«Niente che ti riguardi. E smettila di seguirmi» mi intimò.

Naturalmente non demorsi. Lo pedinai fino al Secondo Settore, dove credetti sarebbe tornato nella sua stanza e invece imboccò la strada per la mensa. Lì avrei potuto piantonarlo quanto volevo. Si avvicinò al bancone, prese un paio di brioche e si accomodò su un tavolo. Con un cenno mi invitò a sedermi offrendomi la colazione. Eravamo soli, quindi non mi sorpresi dei suoi gesti. Mi trattava con più confidenza solo quando nessuno poteva vederci, altrimenti ero un'estranea per lui.

Mi sedetti, mentre il suo sguardo sfumava dalla rabbia a quell'eccentrica nota di so-tutto-io che detestavo.

«Cosa vuoi?» disse chiaro e conciso.

«Io?». Ridacchiai irritata. «Se sono io a infastidirti allora voglio qualcosa, se lo fai tu è tutto normale, vero?».

«Non ti dirò niente di come sono guarito e cosa ho fatto in questi ultimi anni, non ti riguarda. Quindi lascia stare» spiegò, osservando la sua brioche.

«Non mi riguarda?» sibilai a denti stretti. Sentivo rabbia risalire e bruciare, ardere come l'olio bollente. Tentai di reprimere l'istinto di sbraitargli contro, con lui certe cose non funzionavano. Lo avevo capito. Invece, mi mostrai più risoluta – calma era impossibile, come ogni cosa che ci andasse vicino – e risposi al suo giochetto. Ero decisa a rivalermi su di lui e tutte le volte in cui si era preso gioco di me da quando avevo messo piede su quel pulmino. «Allora perché siamo qui?» domandai. Era certo che volesse qualcosa, altrimenti sarebbe tornato dritto nella sua stanza chiudendomi fuori.

Election [I libro, Rose Evolution Saga]Where stories live. Discover now