Il Giovane

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La vita di un fanciullo è allegra, gloriosa e spensierata.
La giovinezza è l'età più bella, perché in essa si scopre il mondo e si può fare di tutto, non esite vergogna, non esiste errore.
E mentre i ragazzi come me corrono e giocano in grandi compagnie io me ne resto da solo, tra le dure pareti del mio castello a sperare quell'opportunità che la vita concede.

Il mio nome è Giacinto e non sono un giovane cone tutti gli altri, sono il principe di Sparta, o meglio lo sarò, quando sarò abbastanza vecchio da governare.

Ora mi trovavo steso supino sul giaciglio della mia camera.
Mi piaceva starmene li, ero al riparo da tutte le noiose faccende da principe, nel suo palazzo.
Mi nascondevo spesso nella mia camera dopo il pranzo per sfuggire al caldo nelle ore dove raggiungeva la sua massima espressione.
Mossi le dita della mano sinistra erano ancora rese appiccicose dei fichi che avevo mangiato.

Mi alzai, nell'angolo della mia camera si trovava un anfora che conteneva l'acqua fresca per lavarsi, una volta che mi fui sciacquato le mani, gettai un po' d'acqua anche sul mio volto.
Ormai ero in piedi, quindi decisi di lasciare quel luogo dalle spesse pareti labirintiche e mi recai nei cortili del mio palazzo.

Spazi ampi e brulicanti di vegetazione.
Il palazzo si trovava su una collina dinanzi al mare dalla costa rocciosa e frastagliata.
Un principe non poteva giocare, pertanto non potevo recarmi in spiaggia.
L'unico privilegio era di essere il principe di Sparta, un'acropoli che predilige l'arte della guerra.
Avevo istruttori che mi insegnavano la sottile arte del combattimento.

Perlopiù erano lezioni teoriche su quali armi usare nelle varie situazioni, ma a volte potevo esercitarmi a menare colpi con la spada nell'area o effettire affondi contro il nulla, brandendo una lancia.
Poche volte correvo se non su superfici piane, predisposte alle Olimpiadi in onore degli Dei.
Pertanto i miei piedi erano fragili e nel tentativo di raggiungere l'acqua salata che conosceva i misteri del mare, a me ignoto; mi sarei lacerato i piedi, sulle rocce prima di potermi bagnare.

Attraversai i prati primaverili, respirando l'aria pulita.
Non mi importava non potermi recare al mare, sulla riva non crescevano alberi e non vi erano rami per poggiare la tunica bianca.
Raggiunsi il bacino di un lago.
Mi recavo spesso in quel luogo.
Conoscevo bene ogni lato del fiume.
Ogni albero per poggiare le mie vesti.
A destra vi si trovavano gli alberi più alti, sui quali rami appendevo le mie vesti più lunghe.
A sinistra invece gli alberi erano più giovani, dal legno più tenero, dove potevo appendere le tuniche più corte.

Decisi di rimboccarmi la veste, giusto da scoprire le gambe e metterle nell'acqua.
Vedendo Il mio volto riflesso sulla superficie del lago, resa imperfetta dal mio ingresso mi sciaquai la faccia e passai una mano ancora gocciolante sulla mia testa, dando un ordine ai capelli castani che andavano a ricoprirmi la fronte abbronzata.

La pelle di tutto il mio corpo era resa scura dal sole.
Quando le giornate erano calde e avevo dovuto compiere i miei allenamenti, mi piaceva ritemperare il mio corpo sudato con l'acqua del lago e una volta uscito anzi che rivestirmi restavo disteso sul prato, lasciando che il sole mi asciugasse e scaldasse.
A volte mi addormentavo, altre restavo ad osservare la mia tunica bianca che ondeggiava tra i rami e giocavo con essa come se fosse un amico li per tenermi compagnia.

Quel giorno però non mi andava di sveztirmi.
Mi sdraiai sulla terra che sfoggiava il suo mantello vedre erba e riposai.
Mentre osservavo il cielo e le nuvole che lo fendevano come rapaci notai piccolinfrutticini tra le fronde degli alberi.

Notai i primi fichi che crescevano, decisi di coglierne uno, avevo mangiato, ero spazio, ma stando da solo si potevano fare pochi giochi e arrampicarsi era uno di questi.
Mi inermpicai sulla pianta, e allungando  il braccio raggiunsi facilmente il frutto.

 Apollo & GiacintoWhere stories live. Discover now