Dall'altro lato della Luna

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In quei giorni era diventato un fottutissimo parapazzo.

Sorvegliare il locale e il suo proprietario si stava rivelando un'esperienza singolare e frustrante: le microspie, che era tornato a nascondere ai due ingressi del Pandemonium, gli restituivano dati contraddittori, mentre l'essenza di quel caso restava avvolto nell'ombra.

Perché Magnus Bane non era convenzionale neppure da sospettato. Mutava progetti e compagnie con la rapidità con cui variava i suoi outfit stravaganti e non aveva orari fissi o schemi consolidati: sembrava immerso nell'incessante fluire degli attimi, flâneur della sua stessa esistenza, intenzionato a bruciare ogni istante con fiamme visibili solo a lui.

Di rado le finestre del loft restavano chiuse fino a mattino inoltrato, malgrado lavorasse di notte, e solo in presenza di qualcun altro; altrimenti usciva prestissimo, quasi in trance, impeccabile come sempre e con la mente intrappolata in chissà quale dimensione.

Non ospitava i suoi amanti, con buona pace dei tabloid: Alec sospettava che attirasse i poveretti come una mantide, per disfarsene già prima dell'orario chiusura. No, le persone cui concedeva il lusso di restare erano sempre le stesse, autorizzate a superare le cortine della sua personalità inaccessibile: due uomini e una donna.

Lei, minuta, emanava una grazia delicata, visibile anche nei piccoli gesti - come la carezza che riservava al volto di Magnus quando la accompagnava all'ingresso.

Gli altri erano diversi come il giorno e la notte, ma ugualmente connessi al Pandemonium e al suo proprietario: un ispanico bizzoso dalla battuta mordace, che ogni sera operava magie foniche dall'alto della propria consolle, e il maître del locale, forse l'unico sano di mente in quel trio imprevedibile.

Gli altri erano diversi come il giorno e la notte, ma ugualmente connessi al Pandemonium e al suo proprietario: un ispanico bizzoso dalla battuta mordace, che ogni sera operava magie foniche dall'alto della propria consolle, e il maître del locale...

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Affacciato al parapetto della Promenade, Alec osservava il riverbero dei grattacieli giocare con i riflessi della luna calante e cercava invano di comporre il quadro su cui indagava da giorni.

Il brusìo dei passanti era il consueto accordo di una melodia soffusa, mischiata al canto dei gabbiani che volavano liberi davanti a lui. Avrebbe voluto librarsi con loro, a volte, ma sapeva - se lo ripeteva spesso - di dover restare ancorato alla realtà.

Una risata irriverente, calda e argentina, squarciò la quiete cui era solito aggrapparsi e lo colpì come uno schiaffo.

Alec gettò un'occhiata in tralice al proprietario di quel suono singolare, che stava flirtando in maniera spudorata con una bionda in evidente stato di adorazione: le circondava le spalle delicate mentre lei gli si stringeva vicina, sbattendo le ciglia e ridacchiando di rimando.

Lo aveva riconosciuto all'istante, non sarebbe servito girarsi: ma lo aveva fatto, e adesso il suo sguardo era intrappolato in quello dell'altro. Di nuovo.

Magnus prese a fissarlo apertamente, lasciando che la risata gli morisse sulle labbra, apparentemente dimentico di essere spalmato su un'altra persona: i suoi occhi famelici non lo liberarono fino a quando i due non lo ebbero superato, lasciandolo sconcertato.

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