Respirare ancora

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Sul letto, uno di fronte all'altro. I palmi ancora uniti.

Silenzio.

Sguardi.

Fiducia che voleva disperatamente bastare.

«C'è stato un tempo in cui ero felice. Mio padre ci aveva lasciato prima ancora di vedermi nascere, non aveva voluto saperne di me. A volte fantasticavo sul suo aspetto: mia madre aveva strappato tutte le foto, una notte, tra lacrime silenziose. Me lo confidò molti anni più tardi. Da bambino pensavo a lui come ad un essere evanescente e mi mancava l'idea di avere un papà. I miei coetanei ne avevano uno, e a volte mi chiedevo dove fosse il mio.

«Speravo che un giorno lo avrei visto fuori da scuola insieme agli altri e lo avrei riconosciuto subito. Malgrado ciò, non fui mai davvero triste, perché mia madre era semplicemente grandiosa. Non immagini neanche quanto fosse bella Alexander, che sorriso avesse... mi guardava e il suo volto si illuminava completamente, quasi io fossi la cosa più bella del mondo. Un po' come mi guardi tu.»

Non era mai riuscito a confessargli quanto i suoi sguardi avessero il potere di sconvolgerlo dentro. A dirgli che doveva per forza essere quello giusto, perché in vita sua solo un'altra persona, la più importante, l'aveva fatto sentire così. Non trovava le parole neppure in quel momento, disarmato dal sorriso un po' sghembo, dolcissimo, per cui sarebbe potuto morire.

«Crescendo ho iniziato anche a smettere di sognarlo, un papà. Non ne avevo bisogno, ero circondato da amici. Un ragazzo fortunato. Ero popolare, ammirato... Non ho mai dovuto, né voluto, nascondermi. Conoscevo Ragnor praticamente da sempre, con il tempo si erano aggiunti anche Raphael e Catarina. Sono sempre stati la mia famiglia, prima... e anche dopo.

«Avevo sedici anni quando un giorno, tornando da scuola, trovai mia madre con il viso stravolto. Aveva gli occhi gonfi, rossi, chiaramente aveva pianto ma non volle dirmi il motivo. Da quel giorno la trovai sempre così, per circa un mese. Quello fu il primo della mia lunga serie di errori. Se fossi stato meno superficiale, più attento, se avessi insistito per conoscere la verità, magari ora sarebbe viva, accanto a me, e avrebbe potuto conoscerti.»

Alec gli carezzò i dorsi delle mani, leggero, temendo quasi che un tocco più forte potesse diventare troppo. Se li premette sulle labbra, a lungo, con gli occhi fissi nei suoi, come a spiegargli che non importava, che in fondo non l’aveva perduta. Perché era rimasta con lui e magari aveva incrociato i loro sentieri.

«Mi ha conosciuto, Magnus, lo sai anche tu. La porti nel cuore, e lei protegge i tuoi sogni. Non esistono distanze capaci di infrangere un amore simile.»

A quelle parole l’altro abbozzò un sorriso flebile, riconoscente.

«Mi dissero che si era suicidata, ma io non l'ho mai creduto. Mia madre non mi avrebbe lasciato da solo. Nel modo peggiore capii cosa significasse non avere nessuno, nessuno, che provvedesse a me. Conti da pagare, responsabilità da assumersi. Per sopravvivere, quando io non volevo sopravvivere. Quel giorno iniziai a morire dentro e non me ne resi neanche conto.»

La voce di Magnus si incrinò. Rimase in silenzio, con le mani che tremavano dentro quelle di Alec. Lui le strinse più forte e non gli permise di crollare.

«I ragazzi mi aiutarono, certo. Andai a lavorare, anche se non sapevo fare nulla. Continuai a frequentare la scuola, ma essere cameriere a tempo pieno era massacrante.

«Due mesi dopo, un uomo si presentò a casa mia. Lo trovai ad aspettarmi dopo il turno: era notte fonda e ricordo benissimo di averne avuto paura. Ostentai una sicurezza che non possedevo, per non mostrarmi debole. Avevo perso l'unica persona che potesse proteggermi, dovevo imparare a cavarmela da solo.

Fuoco e DiamanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora