Il cuore osserva, la bocca mente

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Ne venne fuori che Alec non aveva la più pallida idea di dove andare, tanto che, dopo aver guidato senza meta per i primi cinque minuti, aveva ammesso candidamente, con un ghigno divertito, di non uscire spesso e di non conoscere molti locali.

Magnus, che vicino ad Alexander sembrava aver recuperato il consueto charme, lo indirizzò con un sorrisetto verso uno dei propri ristoranti preferiti, dandogli le indicazioni per raggiungerlo.

«Ti piace la cucina thailandese?»

«Non l'ho mai provata, ma sperimento volentieri.»

«Allora conosco il posto perfetto!»

Il tragitto in macchina fu breve e piacevole: i due godettero della reciproca compagnia non smettendo di guardarsi di sottecchi per spiare l'espressione dell'altro.

Giunti al locale, il proprietario riconobbe immediatamente Magnus e li condusse verso un tavolo riservato, facendo saltare loro la lunghissima fila.

«Sembra grandioso essere te» considerò Alec con un sorriso aperto.

«Ha i suoi vantaggi» ammise l'altro, divertito.

Nel frattempo il cameriere aveva portato i menù e una bottiglia del loro miglior vino, che Magnus volle servire personalmente al bel ragazzo con cui aveva l'onore di cenare.

«Allora, cosa fanno di buono in questo posto?» Alexander stava studiando il menù, ma era sinceramente perplesso dinanzi a tutti quei nomi esotici.

«Questo posto» rispose l'altro sogghignando, «è un tempio della buona cucina, quindi vedi di parlarne con il dovuto rispetto.»

Era più forte di lui, il ragazzo lo metteva proprio di buon umore.

«Ah sì? Perdonami allora, non intendevo certo offendere un luogo sacro» ribatté Alec con il medesimo tono ironico, sollevando le sopracciglia in un gesto di finto dispiacere.

Vederlo così rilassato fece perdere un battito a Magnus. Se possibile, era ancora più bello.

«Ti perdonerò, ma non prima di aver trovato un modo per farti pagare pegno»

Alec quasi sputò il vino che stava bevendo. «Immagino che tu venga spesso qui, se ti piace così tanto» si limitò a dire.

Cosa gli stava chiedendo, esattamente? E soprattutto, voleva davvero sentire la risposta?

Magnus sembrava seguire il filo dei suoi pensieri, mascherando un sorrisetto con il proprio calice. «Beh sì, in effetti...» iniziò lentamente, con noncuranza, come se l'altro non attendesse quella risposta con le orecchie rosse e lo sguardo fattosi improvvisamente serio, «...è il mio ristorante preferito in tutta New York. Ci vengo spesso, quando ho bisogno di staccare da tutto e da tutti, sempre da solo

Spiò di sottecchi la reazione dell'altro, che avvampò all'istante, confermandogli che il messaggio era giunto a destinazione forte e chiaro. Nella propria testa suonava più o meno così: non ho mai portato nessuno qui, ma stasera ho scelto di portare te. Vide l'altro cercare di trattenere un sorriso vagamente compiaciuto e decise di proseguire quel gioco.

«E tu, giovane Lightwood, è possibile che non conosca un locale decente in tutta la città?»

«Lasciamo perdere», Alec rideva adesso apertamente, «in queste cose sono un disastro. Esco raramente, e solo se trascinato da qualcuno.»

«E allora cosa ci facevi al Pandemonium, quella sera? Non hai saputo trattenerti dall'ammirare dal vivo il grande Magnus Bane?»

«Uhm, a dire il vero non sapevo neanche chi fossi», replicò Alec con una risatina. «È mia sorella Isabelle la tua fan, mi dispiace. Ero lì per lei, ma mi ha dato buca.» Odiava mentire, soprattutto alla persona che aveva di fronte, ma era costretto. Cercò di limitare le bugie a quelle strettamente necessarie.

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