I know.

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Rigirai e rigirai il volantino nelle mie mani, ero eternamente indecisa, volevo cambiare e diventare quella forte, quella che riesce a mandare a quel paese tutti, quelle che rischia, quella che si butta senza pensare alle conseguenze eppure sapevo che cambiare significava diventare qualcun'altra e io non ne ero pronta. Mia mamma mi aveva insegnata ad essere fiera di quella che sono, impacciata, lunatica, solare, me stessa. Guardai ancora una volta il numero scritto sul retro del volantino, qualcuno lassù aveva pensato di darmi una possibilità e io non sapevo che fare, non sapevo cosa realmente avrei dovuto fare, non lo sapevo. Presi il mio telefonino e lo sboccai, non volevo essere una codarda cronica, volevo per una volta fare la cosa giusta, composi il numero e subito dopo schiacciai il tasto della chiamata.

Bip.bip.bip.bip

"Pronto?" Rispose una voce maschile.

"Ciao sono Kandra, Kandra Smith" Dissi trattenendo il respiro, gli avevo telefonato e di certo non avrei riattaccato.

"Sei davvero tu?" Chiese sorpresa. Risi per il suo tono di voce e onestamente neanche io me lo sarei aspettata.

"Sì sono davvero io" Dissi ridacchiando per la mia affermazione.

"Scusa è solo che non aspettavo telefonassi davvero, insomma non mi conosci neanche e vedere uno che ti dice che può aiutarti in mezzo ad un corridoio non è di certo, come dire sicuro" In effetti non aveva tutti i torti. Risi ancora una volta per la sua scelta di parole e per il suo essere così.

"Non è sicuro per niente, ma sai come convincere la gente. Così sono arrivata a casa e c'ho pensato e mi sono detta 'perché non cambiare?' Così ho chiamato" Risposi rilasciando uno sbuffo pensando a quanto ridicola fossi.

"Hai fatto bene, se vuoi puoi anche venire adesso" Guardai l'orologio sulla parete della mia camere e indecisa sul da farsi mi morsi il labbro.

"Dovrei?" Chiesi a lui, come se potesse darmi la conferma della mia azione.

"So che non mi conosci, ma posso dirti che per una volta nella vita dovresti rischiare, rischiare per quello che ti piace diventare. Ho visto come quel cafone ti ha ferito, non fisicamente ma moralmente, fa male lo so, ma cazzo, buttati!" Disse ridendo per l'ultima sua esclamazione e io lo seguì a ruota.

"Bene, sarò lì tra dieci minuti" Chiusi la chiamata.

Per una volta volevo scappare dagli schemi perfetti, da quei schemi che avevano scritto gli altri per me, quei schemi che da troppo tempo mi stavano soffocando. Adesso avevo deciso di vivere secondo i miei di schemi, scrive tra le righe e non dentro come tutti gli altri, diventare chi volevo essere e non quello che gli altri volevo che io diventassi. Mi sentivo come se avessi vinto una battaglia, come qualcuno che riesce a prendere la propria vita, quella vita che mi era stata sottratta da tutti, ma adesso questa voglio essere io, forte, ambiziosa, travolgente. Volevo.

Mi vestì e scesi le scale, entrando in cucina trovai mio padre come suo solito appoggiato al ripiano della cucina con la testa tra le mani e una bottiglia di liquore vicino a lui, scossi la testa per quante volte io potessi dirgli quando sbagliato fosse lui, lo avrebbe rifatto e rifatto, da quando mia madre non era più con noi la sua di vita era andate a puttane, non mi aveva mai dato ascolto, non lo aveva mai fatto. Mi sentì impotente davanti al suo dolore, mi avvicinai e posai una mano sulla sua spalla.

"Papà" Sussurai per paura che potesse esplodere come una bomba ad orologeria da un momento all'altro. Lui rispose con un mugolio.

"Dovresti andare a dormire, non puoi stare qui, su ti accompagno io" Lo presi dal braccio e lo spinsi di poco ma lui si girò di scatto facendomi perdere l'equilibrio. Sbattei contro il pavimento, chiusi gli occhi per il dolore ma sentì un risolino da parte sua.

"Fatta male piccola Ki?" Domandó con quel sorriso beffardo sulle labbra, a quel soprannome il mio cuore perse un battito.

"Non chiamarmi così" Dissi cercando di mantenere la mia mente in uno stato di calma.

"Perché?" Sì chinò verso di me e prendendo il mio viso tra la mano destra sorrise "Ti fa male?" Un attimo dopo sentì un dolore lancinante sullo zigomo.

"mi hai portato via l'unica cosa che mi apparteneva, l'unica cosa che sapevo ci sarebbe stata sempre, l'unica cosa che la sera mi dava la spinta per tornare a casa, qui da voi, ma tu" mi indicò e poi sputó dalla mia parte "Tu hai rovinato tutto"

Detto quello andò via, mi senti umiliata, umiliata dell'unica persona che avrebbe dovuto consolarmi e dirmi che tutto questo sarebbe andato a finire bene, ma non era successo, gli avevo provocato un dolore, uno di quei dolori che ti rubano l'anima e lasciano che questa soffochi per la sofferenza, non volevo essere io la causa del suo dolore, volevo essere la sua bambina, volevo che lui fosse il mio principe azzurro, ma adesso non lo ero più. Mi toccai la guancia e una fitta la attraversò, mi stupì non del fatto che mi avesse picchiato ma che per la prima volta mi avesse veramente detto quale fosse il problema. Strinsi gli occhi in una linea, impedendomi di piangere. Fa male, molto.

Bullismo.Where stories live. Discover now