28.Only Place I Call Home

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28.

You're the only place I call home.
Near or far, where you are is where I want to be
(Every Avenue-Only Place I Call Home)

"Ciao Lexa, come stai?". Penso di aver appena fatto la domanda più idiota della storia. Lexa scoppia a ridere davanti a me, palesemente per evitare di tirarmi un pugno. Non la biasimo.

"Come vuoi che stia?" replica. Chino il capo, carica di vergogna. Vorrei solo poter tornare indietro nel tempo e cambiare il mio passato. Sospiro. Non è possibile e lo so bene purtroppo.

"Lex..."

"No Clarke, Lex un corno. Con che faccia tosta ti presenti qui?". È furiosa. "Forse è meglio che tu te ne vada."

"Lex, ti prego..." provo ad insistere, inutilmente. Agita le mani per aria, in preda alla rabbia e all'agitazione. Dio, cosa ho fatto? In cosa l'ho trasformata?

"Sai cosa? Me ne vado io. Sì, penso che sia meglio così, verrò a trovare Jake domani.". Fa per andarsene, ma io la blocco per un polso. Prova a divincolarsi dalla mia presa, ma non la lascio andare. Non questa volta.

"Mollami!" mi urla contro. Scuoto il capo.

"Ti prego, voglio solo che mi ascolti. Ti supplico.". La vedo alzare gli occhi al cielo e fare un respiro profondo.

"Perché dovrei?" chiede, infine. La sua domanda è un pugno allo stomaco. Già, perché dovrebbe?

"Potrei risponderti che è perché ho viaggiato per tre giorni solo per venire qui o perché si tratta di me o perché so che sotto sotto sei curiosa di sapere cosa devo dirti, ma la verità è che nessuno di questi motivi è davvero valido. Non ci sono ragioni per cui dovresti, ma nemmeno per cui non dovresti. So solo che non posso continuare così, non posso tenermi tutto dentro. Non voglio scoppiare di nuovo.". Lexa mi guarda, combattuta. La capisco, qua siamo ben oltre la seconda occasione. Non saprei nemmeno io cosa farne di me.

"Cosa ne pensa il tuo agente? Ti ha detto lui di tornare qui, di nuovo?"

"Non sa nemmeno dove mi trovo. A dire il vero, a parte Raven non lo sa nessuno." rispondo. Sembra colpita dalle mie parole. Sospira.

"E va bene." cede. "Ti ascolto."

"Grazie." mormoro.

"Non ringraziarmi, Clarke. Vedi di muoverti, piuttosto. Aden mi sta aspettando a casa.". Annuisco e mi appoggio alla macchina. Di colpo, tutto quello che avevo intenzione di dirle scompare dalla mia mente. Non ricordo più nulla delle parole che volevo usare. Considerando che un tempo scrivevo canzoni, la situazione è ai limiti dell'assurdo.

"Clarke, non sto scherzando. Se devi dirmi qualcosa, ti conviene farlo subito. Non ho tempo da perdere." mi esorta Lexa. Alzo lo sguardo, permettendo ai nostri occhi di scontrarsi per l'ennesima volta. Apro la bocca per parlare, ma tutto quello che ne esce è un singhiozzo strozzato. Lotto con tutta me stessa per non scoppiare a piangere. Lexa ha ragione, devo farmi forza e dirle tutto quanto. Non so se potrò mai riaverla nella mia vita, ma ho bisogno di farle sapere quanto tengo a lei.

"Clarke, per quanto mi piaccia stare all'aria aperta, devo proprio and-..."

"Sono stata a Monterey." esordisco, interrompendola. Mi guarda, inarcando le sopracciglia.

"Beh, è una meta turistica piuttosto nota, non ci vedo nulla di strano." ribatto. Scuoto il capo.

"Due sere fa avrei dovuto esibirmi al Sanctum Fest. Il mio album sta andando piuttosto bene e tornare a cantare dal vivo in effetti sarebbe stato importante ai fini della promozione. Beh, su quel palco non ci sono mai salita, Lex. Raven è venuta da me poco prima del concerto e mi ha messa davanti alla verità. Ho passato una vita intera fuggendo da tutto quello che mi faceva stare bene, convinta che non lo meritassi. Sono scappata dai miei sentimenti, dalla mia musica, dai miei amici, da te. Non ha senso vivere così, te lo assicuro.". Lexa mi guarda, senza dire una parola. Mi fa cenno di proseguire.

A Sort Of HomecomingWhere stories live. Discover now