12. Relationships (parte1)

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Maggio 2017

Nello studio di Louis Martinez, Mauro sedeva al centro del tavolo da riunione, con le dita intrecciate e i polpastrelli pressati l'uno contro l'altro a sfidarsi in una lotta senza vincenti. Di fronte a sé, aveva un telefono e l'avvocato della controparte. A governare il caos: il suo cervello, concentrato nel conservare più parole possibili come fossero i pezzi di una partita a scacchi.

Alla rilettura del contratto, era risultato palese che, per recedere in anticipo, avrebbe dovuto pagare una tantum per danni da mancato introito, ma la stima non era semplice perché Mauro era ancora attivo nel Summers Festival.

Il telefono squillò, l'avvocato rispose e riattaccò.

«Bene Signori, come anticipato: era il mio cliente. Abbiamo l'accordo. Se le parti trovano risoluzione, possiamo procedere con le firme. Il signor Martinez si rende disponibile a raggiungerci.»

Mauro non aveva nessuna voglia di rivedere Louis. Il difensore, a fianco, si protese verso di lui.

«Le consiglio di accettare la rettifica. Eviterà ripercussioni economiche future. È un buon accordo, probabilmente, perché il contratto era vicino al rinnovo. In ogni caso, non risente di particolari gravità.»

Era chiaro che non fosse del settore e non sapesse valutare il danno economico. Mauro rimaneva senza una rappresentanza e senza contratti prima della stagione estiva, quella più proficua per un artista da palcoscenico.

«Ho capito. Firmo.»

Mauro abbassò lo sguardo. Le tempie gli scoppiavano. Pareva che il cervello si contorcesse nel tentativo di elaborare una soluzione alternativa.

L'avvocato dello studio raccolse i fogli scarabocchiati in rosso e li ricompose in un unico pacco. Fece un cenno alla segretaria che li prese per trascriverli con le correzioni. Mauro si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Il sole riscaldava i vetri. La vista era appannata dalla polvere che, alzandosi dalla strada, vi si era depositata sopra. Il cielo s'intravedeva appena, tra le antenne dei tetti adiacenti, che si libravano in aria come confuse braccia tese, in cerca di aiuto.

Chinò la testa e inspirò profondamente  per poi soffiare fuori tutta l'aria in un colpo. Avvertiva il bisogno pressante di una massiccia dose di nicotina, per fermare il tremolio alle mani. Un milione di cose gli vorticavano in testa così veloci da non riuscire a fissarle. Erano solo immagini, flashback. Le file di ragazzi ai provini che giocavano a carte per passare il tempo, il  pianoforte lucido che rifletteva il suo volto sudato, le scarpe da tennis per non scivolare sul palco, le siepi dell'autostrada che filavano via veloci e poi il buio, le luci, le urla, i pianti e le risa. Rabbrividì. Due anni di contratti garantiti da una manciata di coriandoli. Gli pareva quasi di vederli volare via, mentre gli applausi scemavano.

I tacchi a spillo della segretaria risuonarono celeri dal corridoio. Con la coda dell'occhio, Mauro attese il suo ingresso. Appena apparve, il legale la raggiunse spedito.

«Ecco qui!»

Prese i due plichi e lì batté sul tavolo, facendolo sussultare. Tutti ripresero i propri posti. Mauro fu l'ultimo a sedersi.

L'avvocato di Martinez si concesse un sorso d'acqua: «Procedo alla rilettura». Schiarì la gola, sfregò le mani e le appoggiò, aperte come zampe di ragni, ai lati dei fogli. La voce atona affollò la stanza, con parole che Mauro faticava a mettere a fuoco sulle righe.

Niente indennizzo per recessione anticipata da contratto, niente più uso in concordato gratuito della sala prove, niente più contratti fissi con i musicisti. Riconoscimento degli introiti derivanti dai progetti live aperti fino a fine giugno, delle sponsorizzazioni e delle interviste fino a fine dicembre. Suonava facile, ma come poteva ingaggiare un nuovo manager disposto a coprire il rischio d'impresa a mezzo guadagno per tutti quei mesi?

Estrasse la penna in alluminio da un anonimo vaso a buchi e ruotò il fusto. Prese a firmare ogni foglio della rettifica del contratto, in basso, a lato, ovunque trovasse un posto bianco libero. Ogni foglio doveva essere accettato, esattamente come la prima volta. La penna gli scivolò più volte dalla mano sudata, nonostante se l'asciugasse ripetutamente nei jeans. Infine, snervato, la richiuse e la gettò sul tavolo.

«Posso andare?» chiese al proprio avvocato.

L'uomo annuì.

«Resto io per le controfirme.»

Si congedò e imboccò l'uscita. Nel corridoio, tolse un pacchetto di sigarette stropicciato dalla tasca posteriore dei pantaloni, ne estrasse una e la portò alle labbra. Stava cercando l'accendino quando, all'apertura delle porte dell'ascensore, si ritrovò faccia a faccia con Louis.

«Finito? È stato semplice, allora. Soddisfatto? Ti sei liberato di me o io di te.» Martinez sorrise e si sistemò i pantaloni intorno all'abbondante girovita.
«In fondo, sono stato buono.»

«A posto», tagliò corto.

«E lei? L'hai già sentita? Gli hai detto di essere disoccupato?»

Fissò quelle labbra, i cui angoli non facevano che sfuggire verso l'alto, e cercò di resistere.

«Ah...no, non credo. Sapevi che sta a Hollywood, vero? Che gran donna!»

Mauro tolse la sigaretta dalla bocca e la tenne in mano. Sentiva le guance in fiamme. Non aveva idea di dove avesse cacciato l'accendino. No, non le avrebbe detto niente. Non finché non avesse trovato il modo di guardarla di nuovo alla pari. Perché ce l'avrebbe fatta. Sì, sarebbe uscito da quel casino. Avrebbe sistemato tutto quanto e risalito la cresta dell'onda. Sarebbe andata così. Doveva crederci.

«E pensare che il suo manager non c'era mai stato in America!»

Mauro scrollò la testa. Non sentiva nulla per quell'uomo. Lo guardava sapendo che era un pacco lasciato fuori dalla soglia. Trascinarlo oltre l'ingresso era stato difficile, ci era voluta molta forza, ma ora non aveva rimpianti.

Louis allungò la mano nella sua direzione.

«Finché è durata, è stato un piacere!», concluse con una risata quasi diabolica.

Mauro rimase immobile, le braccia aderenti ai fianchi, i pugni chiusi.

Louis si ricompose e con un ghigno, si incamminò verso l'ufficio.

«Hollywood», mugugnò. «Ci pensi?

A distanza, la sua voce lo raggiunse ancora una volta come l'eco in una cassa bluetooth: «Buona continuazione!»

Mauro respirò, finalmente. Abbassò lo sguardo. Nel palmo aperto, la sigaretta di prima era scomposta nei suoi elementi. La carta lacerata, il tabacco sparso, solo il filtro era ancora intatto. Mise tutto in tasca per non sporcare a terra e chiamò l'ascensore. Mentre scendeva, avvertì come un venticello fresco attraverso gli abiti. Era un'illusione dovuta alla sensazione di caduta o più probabilmente la tensione che scemava dal suo corpo.

Chiuse gli occhi. Era finita. Forse un giorno avrebbe sorriso di quel momento. Quel pensiero lo confortava.

Meglio lasciare che chi ti odia si gongoli, vuol dire che soffre d'invidia il resto del tempo, quante volte sua madre glielo aveva ripetuto e, per una volta, ne aveva fatto tesoro.

Raddrizzò la schiena, aprì le spalle e uscì. Fuori, si girò a contemplare il fabbricato dal tetto piatto e le pareti color biscotto, per un'ultima volta. Pareva una grossa, comune, scatola di cartone. Qua e là, la vernice gonfia e screpolata della facciata testimoniava quanto tutto, al mondo, potesse essere fragile e pericoloso allo stesso tempo, proprio come la sigaretta che aveva tenuto in mano.

"Solo un palazzo. Uno dei tanti", pensò.

Però qualcosa gli era rimasto addosso, come una macchia di caffè su una felpa marrone. L'aveva nascosta bene, ma era lì. Per quanto si sforzasse di ignorarla, continuava a far capolino nei suoi pensieri.
Cosa aveva voluto insinuare Louis? Carrie aveva accennato a Los Angeles e Mauro aveva pensato alla città del Rock'n'roll, a Sunset Boulevard, alla Guitar Row...

Nessuno aveva parlato di Hollywood. E come diavolo ci era arrivata se non tramite il suo manager? Aggrottò le sopracciglia. Louis era un uomo accorto. Le parole non gli sfuggivano mai di bocca.

Stelle in polvereWhere stories live. Discover now