8: Prime volte

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Febbraio 2017

Nella sala di registrazione c'era la band al completo. Giovanni levò gli occhi dal mixer, spalancò la bocca e trattenne il fiato.

Mauro lo sbirciò di traverso. Come niente fosse, puntò dritto alla zona insonorizzata. I ragazzi all'interno si guardarono l'un l'altro preoccupati.

«Mauro aspetta... », spiccicò Giovanni e si interruppe per deglutire. «Louis è stato qui. Era nero pesto. Hai visto internet? È zeppo di titoloni su ieri sera, e non parlano del concerto... »

Mauro abbassò il volto e sfiorò l'incavo del pulsante elettrico, non si era mai accorto di quanto fosse facile entrare lì dentro.
«Lascia correre», bofonchiò.

«Mauro...» Giovanni scosse la testa e sbuffò.
«Non puoi entrare. Louis ci ha imposto di farti salire da lui appena arrivavi. Ti sta aspettando.»

Mauro fissò i musicisti attraverso il vetro: pendevano dalle sue labbra. Insieme a loro condivideva palco, sudore, urla, gioia e pianti; aria viziata da pullman, cibo spazzatura da tavola calda e bagni pubblici da Autogrill. Non c'era espressione sul suo volto che non sapessero interpretare.

«Va bene. Grazie. Salgo subito», mormorò rassegnato, ritraendo la mano.

«Tornerai qui, dopo?»

Non rispose e ritornò al corridoio.
Prese l'ascensore. Era stretto e puzzava di chiuso quanto la sala d'aspetto di uno studio medico. Il suo volto, nello specchio, pareva invecchiato di anni. Non erano le occhiaie a segnarlo, a quelle, la mattina, era abituato. Erano le rughe al centro della fronte e quelle ai lati delle labbra che gli davano un'espressione severa.

L'inizio della sua carriera, con il Talent Show, era stato esplosivo: luci puntate addosso come fari nella notte. Il neonato settimino che a tre anni non sapeva ancora parlare, il ragazzino tonto che stentava a leggere, era stato coperto da coriandoli di gloria piovuti dal cielo. Gli avevano regalato un senso di rivalsa mai conosciuto prima. L'avevano visto tutti, tutti quelli che l'avevano votato, sera dopo sera, alla tivù di stato. L'intero paese di Maserada sul Piave aveva festeggiato lungo il viale che portava alla piazza centrale. Non poteva più tornare indietro. Lo doveva a sua madre che l'aveva salutato, prima di imbarcarsi in quell'avventura, con un bacio in fronte e gli occhi lucidi.

Sapeva di dover chiedere scusa a Louis per continuare a fare quel mestiere, eppure, era riluttante. In quei pochi anni, si era plasmato per il sistema. Aveva taciuto le sue idee. Era passato sopra ai testi delle canzoni cambiate, agli arrangiamenti non scelti, all'immagine sterile delle copertine e al look studiato, pur di arrivare. Ma arrivare dove?

Il pavimento dell'ascensore tremolò e si stabilizzò. Le porte cigolarono aprendosi. Uscì con le spalle ricurve, appesantite dall'amarezza.

***

Sul piano, c'erano una sala riunioni e qualche salottino. Dalle alte finestre, tutte su un lato, filtrava una luce grigia come il cielo carico di nubi. Un filo di fumo usciva da una soglia aperta, allungandosi verso il neon del soffitto.
Louis doveva essere lì, incurante del divieto esposto. Mauro si affacciò. Il manager, semi sdraiato su una poltrona in alcantara panna, reggeva, in bilico sulla pancia, un posacenere di cristallo che scandiva il tempo salendo e scendendo.

«Oh, ecco! Entra pure. Ti stavo aspettando.»

Mauro avanzò, con la gola riarsa. Quell'uomo sapeva metterlo in soggezione con la sua sola presenza.

«Dobbiamo chiarire qualche punto, a partire dalla chiusura del contratto che hai stipulato con me. Questo è il numero del mio avvocato», gli disse allungando un biglietto da visita, con l'indice e il medio, come fosse una sigaretta.

Stelle in polvereWhere stories live. Discover now