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É un po' strano come inizio, ma la prima cosa che voglio dirvi é questa: io non sono umana, o almeno non lo sono più. Sono nata sulla Terra, ma ormai non so quanto tempo è passato da quei giorni in cui ero tenuta all’oscuro di come gira il mondo. Dove vivo (nel piano d’esistenza in cui esisto ora) il tempo non scorre allo stesso modo. Per capire meglio questo concetto: un paio d’ore qui possono essere percepite, nel mondo esterno, come due giorni, due settimane o persino due mesi.

 Ma questo non è importante ora; ciò che vi serve adesso è che io inizi finalmente a parlare di come è iniziato tutto, di come una bambina di sette anni abbia potuto infilarsi in problemi e situazioni ben più grandi di lei. 

All’inizio, in realtà, non c’era nulla che potesse turbarmi o farmi male: vivevo in un villaggio a nord di qualsiasi cosa, nessuno arrivava e nessuno andava via. Eravamo auto-sufficienti, data anche la vicinanza sia al mare che alla foresta. L’autunno era alle porte e noi bambini ci divertivamo ancora a giocare nella foresta. Ci era proibito allontanarci troppo, ma ovviamente quella volta feci proprio quello.

Ridacchiavo mentre mi addentravo nella foresta cercando il miglior nascondiglio di tutti. Troppo tardi mi resi conto che non riconoscevo più quegli alberi, quei cespugli, troppo irti per la zona a cui ero abituata a vagare. Cercai di ripercorrere i miei passi, ma nulla aveva senso. Adesso, quegli alberi che avrebbero dovuto farmi sentire sicura, sembravano, agli occhi della me bambina, dei giganti pronti a prendermi se solo avessi fatto un singolo rumore. Tutto era più buio, la natura era diventata bestia selvatica, ogni mio passo era scandito da rumori tetri, su, tra le fronde degli alberi, e giù, in mezzo alle frasche. Il cuore mi martellava in petto, le mani, strette alla mia scarsella, tremavano come foglie, lacrime copiose iniziarono a sgorgare dai miei occhi. Ma non emisi un suono, la paura era troppa, ma a discapito di essa continuai a camminare. Continuavo ad andare, ma dove? Non ricordavo nemmeno più il motivo per cui mi ero addentrata così tanto in quel luogo così inadatto a me.

Erano ore che vagavo senza sapere dove stessi andando, quando ad un certo punto alzai lo sguardo e davanti a me non vidi più la fitta foresta che ormai poteva solo perseguitami negli incubi, o i rami secchi e i cespugli affilati che mi avevano graffiato le gambe fino a poco prima; bensì, in lontananza, la luce calda del sole, che iniziava a schiarire il mio cammino, riempiva ogni filo d'erba della radura più bella che avessi mai visto. Non dimenticherò mai quella visione, quasi eterea, di quel paesaggio. Fiori campestri di tutti i tipi riempivano la mia visuale, e i raggi di luce dorata sembravano farli cambiare, era come avere un arcobaleno a portata di mano. Al centro di questa radura si ergeva un albero che si stagliava sopra di me non solo in altezza, i suoi rami erano così ampi come a voler abbracciare e proteggere tutto e le sue foglie larghe di smeraldo ondeggiavano con la brezza leggera ad intonare una melodia di benvenuto. Era la quercia più grande e bella che avessi mai visto. Notai su di un ramo, una coppia di scoiattoli, avevano le guance piene di ghiande, pronti a rientrare nelle loro tane per sistemare le scorte per l’inverno; e più in alto un groviglio di rami e fili d’erba ospitava una famiglia di pettirossi. “Re buono” questo è il nome che gli avrei affibbiato qualche anno dopo. C’era un’unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento: non poteva esistere posto più paradisiaco di quello. 

Poi notai, seduto davanti all'albero, un uomo, o almeno quello sembrava. Mi dava la schiena, quindi mi era impossibile vederlo in volto, ma non avevo bisogno di guardarlo negli occhi per percepire i suoi sentimenti. Emanava un’aura di malinconia, o forse proprio tristezza che, nonostante la distanza, era palpabile.

 "Mi scusi" dissi, con voce rotta e ridotta ad un sussurro, a colpa del pianto che, fino a pochi istanti prima, era stato unico sfogo di quelle paure irrazionali che si susseguivano nella mia mente. L'uomo si girò, rivelando il suo aspetto stanco, una benda gli copriva l’occhio sinistro, sul suo viso una singola lacrima solcava repentina la guancia, facendosi strada tra le rughe che segnavano l’avanzare dei suoi anni. Ella però rimase lì solo per un istante, poiché l'uomo, passandosi velocemente una mano sul volto, eliminò ogni traccia di quella sofferenza che in cuor suo avrebbe continuato ad avere. 

Se tutto fosse sbagliatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora