11-Dolore

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Sarah

Il dolore, quella lacerazione nel petto e nello stomaco che ti lascia sanguinare all'interno, un emorragia interna che ti soffoca, soffoca da togliere il respiro e lucidità.

Lo so cos'è il dolore, lo so bene eppure ogni volta è peggio dell'ultima.
È accaduto così velocemente, così in una sera il mondo mi è caduto addosso ed io non potevo farci nulla, perché fin ora ero solo scappata.

Guardo davanti a me le onde, l'acqua che circonda questo pezzo di tranquillità e quel vento che mi culla come a voler scacciare via i pensieri, seduta su una panchina a pensare, a trovare una soluzione a capire come tutto questo sia possibile.

Io che della mia vita volevo solo una vita normale, tranquilla.
Lavorare per un giornale di grosso calibro, avere una casa, un cane e forse anche un uomo, diverso da me e dalla mia vecchia vita.
Sento un rumore di una moto avvicinarsi verso la mia direzione.
Alzo lo sguardo e il volto di quel biker mi blocca. Blacke.

Asciugo velocemente le lacrime e cerco di ricompormi, estraggo la mia solita sigaretta e la porto alla bocca , tenendo gli occhi ben dritti, fissi in un punto indefinito.
Il sole inizia a calare lasciando spazio alla notte, alle stelle ed era magia, la magia della natura.

Sento il rombo della sua Harley sempre più vicino per poi vederlo con il suo solito gilet parcheggiare leggermente distante dalla panchina dove sono seduta. Si toglie il casco e si aggiusta quei morbidi capelli color pece che escono ogni qual volta che prova a sistemarli.

Appoggia il casco sulla sella della moto e viene verso di me.
Si siede al mio affianco, senza guardarmi, con la testa china a guardare i suoi anfibi un po rovinati.

Dalla tasca destra del suo giubino estrae il suo pacchetto di sigarette, abbastanza accartocciato. Ne estrae una e se la porta alla bocca.
Accende.

« Te l'ha detto Gemma che ero qui? Vero?» Camuffo quel dolore in apatia e fortunatamente ci riesco.
«Avevo bisogno di parlarti» sospira
«Parlarmi? Di cosa?» continuo, sento una parte di me che mi urla di voltarmi verso di lui e guardarlo negli occhi, di chiedere perché farlo? Ma la parte razionale mi dice di rimanere ferma nelle mie posizioni ed io l'ascolto.
« Dove sei andata l'altra notte? Ti ho provato a cercare»

Non lo guardo, il mio sguardo è sullo sfondo, non gli rispondo perché non ho nulla da dire. Nulla e se dovessi parlagli uscirebbe solo rabbia.
«Sarah guardami e rispondimi ora»  mi ordina mi afferra un braccio e lo stringe intorno alla sua mano tatuata.

A quell'ordine, sento la rabbia, l'odio, l'umiliazione arrivare all'apice e non riuscì a trattenermi come era mio solito fare.
«Che c'è? Ti è dispiaciuto? Ti è dispiaciuto non portarmi a letto? Ti è dispiaciuto non raccontare ai tuoi 'fratelli' delle tue conquiste o di non aver avuto molti soldi. Vattene Blacke, non ti voglio qui, non voglio vederti»
Ero arrabbiata con lui, per quello che mi faceva diventare quando stavo con lui, per come mi guardava e per come mi sentivo. Ma soprattutto per quello che aveva detto e fatto quella sera al pub.

Mi volto e mi concentro sulla mia sigaretta che di li a poco si sarebbe spenta.
I suoi occhi erano fissi su di me, sentivo il loro peso, la loro rabbia.

«Che cazzo stai dicendo?» il tono della sua voce aumentava ad ogni sillaba.
«Mi spieghi che cosa ti ho fatto? Perché mi hai visto con quella ragazza al pub o perché non sono abbastanza per te? Perché fai così?»

Mi alzo dalla panchina e con la suola della scarpa spengo la cicca di sigaretta per poi iniziare a ridere. Ma era una risata amara ,piena di dolore e rabbia.
«A me non me ne frega niente di chi porti a letto o sulla tua moto o nei pub, per me sei stato solo lo sfizio di una notte e quello devi rimanere, uno sfizio. Per non parlare della scommessa, hai scommesso con i tuoi amici per portarmi a letto. vero?»
Rimane in silenzio per qualche secondo e poi continua.

«Quindi mi stai dicendo che quello che è successo quella sera e poi il giorno dopo non è stato niente per te?! Sarah guardami!»
Non lo faccio, non mi volto. Si alza mi prende dal braccio e con forza mi tira.
«Guardami negli occhi quando mi parli ragazzina!»  alzo lo sguardo, i suoi occhi sono pieni di rabbia ma lo sono anche i miei.
«Non. Toccarmi.» dico a denti stretti.

Guardando dritto negli occhi, i suoi ghiacciai ora così freddi, così scuri del loro colore, mi incutevano paura ma non mi lasciai intimidire.
«Ti ho detto che tu sei stato solo un passatempo, un piacevole passatempo. Per farla in breve io ho usato te come tu hai usato me vero Blacke? Ti ho sentito sai, l'altra sera al pub»

«Cosa hai sentito?» Urla verso di me non staccando gli occhi dai miei.
«Cosa ho sentito?! Cazzo hai scommesso, hai preso dei soldi per portarmi a letto razza di idiota! Mi hai definito una puttanelle come le altre, quindi questo sono?! Hai solo goduto del sesso e non ti è neache piaciuto a quanto ho capito. Che cazzo vuoi ora eh? Cos'è che volevi fare Blacke? Volevi scoparmi per sentirti come lui ? Rispondimi!» gli urlo addosso sentendo le vene del collo pompare a dismisura.

Lui era lì immobile con le mani strette a pugno e lo sguardo fisso sulle punte dei suoi anfibi neri, slacciati.

«Che c'è ora? Il gatto ti ha mangiato la lingua o le palle? Come osi parlare di me così, come cazzo ti permetti di dire certe cose. Ma soprattutto che razza di uomo sei? Che c'è? le solite donne di tua compagnia non ti soddisfano, volevi una ragazzina, volevi un'altra che pendesse dalle tue labbra eh Blacke?! Dai rispondimi, volevi scomparti l'ex ragazza di Trevor Collins?» inizio a spingerlo, finché non cade sulla panchina.

Li punto l'indice sul petto«Tu hai chiuso, tu non sei un uomo sei solo un coglione che ha solo bisogno di attenzione. Sei solo uno che l'unico scopo della sua vita e svuotare quello che tieni attaccato in mezzo alle gambe» ha la testa china.
«Non ti azzardare a nominarmi mai più» ringhio prima di andare.
Mi volto e me ne torno a casa con il corpo ricoperto di lacrime.
                           
                                             ****

BLACKE

Corre lontana, senza voltarsi indietro ed io la guardo inerme su quella panchina.
Cosa ho fatto? Come ho potuto dire delle cose del genere? Niente di tutto ciò è vero ma per quanto stupido sia stato non dovevo farlo.
Ho scoperto lei per non scoprire i miei sentimenti e facendo questo ho perso la cosa più bella che avessi mai trovato.
In mente ho solo memorizzati quei momenti di quella notte. Ripenso costantemente.

Il suono del cellulare mi fa tornare nella realtà. Lo prendo dalla tasca del giubbotto. È Ryan.
«Che cazzo succede?»
«Blacke torna al locale c'è la riunione, devi essere al tavolo»
«Dammi il tempo di arrivare e sono lì okay?»

Chiudo la telefonata, mi alzo, prendo il casco dalla sella, infilo e salgo sulla moto.
Premo la chiave e premo la mano sull'acceleratore.

Ripenso alle sue parole, ai suoi occhi e a quando l'ho vista salire per la prima volta sulla sua moto, con quel vestito, con quello sguardo mentre la sua mano premeva l'acceleratore, mentre l'altra lasciava la frizione. Su quel sedile che le fasciava a pennello ma soprattutto ai suoi capelli che uscivano dal casco mentre correva lungo la strada.

Penso a lei mentre mi dirigo verso il club.

SCOMMESSA MORTALE(IN REVISIONE)Where stories live. Discover now