Capitolo 9

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«È tutto a posto Gloria, ti senti bene?» chiese il commissario.

«Sì», rispose lei con un filo di voce. Era sdraiata su di un lettino con la mano fasciata. Le era stato appena impiantato un microchip, un piccolo circuito all'interno di una capsula in vetro, grande quanto un chicco di riso. Avevano usato una semplice siringa per inserirlo. Avrebbero potuto controllare i suoi spostamenti in questo modo. Riteneva che Gloria fosse in grave pericolo e quindi bisognava muoversi per tempo.

La mano di Gloria aveva accolto quella diavoleria tecnologica.

«Non ho sentito niente, solo una lieve puntura.»

«Vediamo se funziona», disse il commissario.

L'assistente provvide a togliere il bendaggio. Francesco Orlandi si fece dare lo smartphone di Gloria, lo avvicinò alla sua mano nel punto dove era stato installato e si aprì la lista dei contatti, con le mail. Era bastato solo un tocco, senza premere alcun tasto sul telefono. Segno che il microchip funzionava, quindi fece accendere il dispositivo di geolocalizzazione che mostrò le coordinate esatte di dove si trovasse lei in quel momento, coordinate che corrispondevano alla posizione della questura su Google Maps.

«Bene, missione compiuta», disse il commissario soddisfatto.

«Ti riaccompagno a casa», aggiunse. «Vai a riposare, ne hai bisogno».

Quando erano in macchina le suggerì di cambiare sistemazione e di prendere una casa in affitto o di andare in albergo.

Il giorno dopo sarebbe stato Natale. Si fecero gli auguri. Il commissario le porse un pacchetto. Gli occhi gli brillavano. Le loro mani si sfiorarono. "Che bel gesto aveva avuto", pensò Gloria. Era commossa. Sciolse il fiocco rosso che avvolgeva il pacchetto con l'emozione di una bambina. Le sue dita tremavano per l'impazienza. Si ritrovò nelle mani un libro di poesie di un bel colore azzurro come il cielo delle mattine limpide, sgombro da nuvole. Sul frontespizio si leggeva "Poesie d'amore di Pablo Neruda".

«Grazie!» sussurrò con gli occhi che brillavano per la gratitudine. Gli dette un leggero bacio sulla guancia. Il commissario accolse con gioia quel gesto. Si sentì bene in quel momento.

«Aprilo!» le disse.

Con le dita che continuavano a vibrare impercettibilmente Gloria aprì il libro.

«Questa qui è molto bella», disse Gloria, che ne lesse un pezzettino:

"Ti manderò un bacio con il vento e so che lo sentirai.

Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno tra i tuoi capelli

per poter sentire anche da lontano

il tuo profumo.

Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi"

«Scusami, io».

Una lacrima le scese dal viso, poi ne seguirono altre. Non riusciva più a frenare quelle perle trasparenti che scorrevano senza posa.

Il commissario le porse un fazzoletto, poi la abbracciò forte, stretta a sé.

Quanto calore in quel contatto.

Erano rimasti entrambi senza parole.

Gloria sentiva dentro di sé ancora tanto dolore e anche lui. Entrambi avevano perso la persona amata.

Dopodiché ognuno nel proprio riserbo e imbarazzo si distaccarono e si salutarono forse in modo un po' frettoloso, per stemperare quel momento che per entrambi era stato molto intenso.

All'improvviso il telefono di Gloria si accese. C'era una chiamata da parte di un numero sconosciuto.

«Che faccio? Rispondo?», chiese.

Orlandi fece cenno di sì.

All'altro capo una voce contraffatta la esortava a portare al più presto il libro e che le avrebbero detto le modalità con cui lasciarlo, quando sarebbe arrivata sul posto.

«Faccio localizzare la chiamata, aspetta», disse il commissario Orlandi. Quindi prese in mano il cellulare per chiamare la polizia. Il microchip aveva registrato la voce; era in grado attraverso un comando di registrare il suono di qualsiasi cosa e riprodurlo.

«Cosa succederà se non gli consegniamo il libro? Io ho paura.»

«Ma cosa fai, Francesco?», aveva poi gridato.

Il commissario aveva sterzato l'auto in modo brusco e aveva girato nella prima stradina laterale, accelerando poi in modo vertiginoso.

«Qualcuno ci sta seguendo», disse guardando attraverso lo specchietto.« Si tengono a distanza, ma mi sono accorto».

Un'utilitaria grigia era alle loro calcagna.

«Bisogna cercare in tutti i modi di seminarla».

Sentirono un colpo che sfiorò il parabrezza, seguito da altri colpi. Uno penetrò attraverso il finestrino. L'abitacolo fu investito da una gragnuola di proiettili.

«Buttati giù, presto!» E con la mano accompagnò quell'invocazione. Gloria si raggomitolò contro il sedile, appiattendosi. Era ghiacciata dal terrore, il cuore le martellava nel petto. Pensò: "Adesso ci fanno fuori" ed era così convinta che già si vedeva con la testa grondante sangue, colpita da una pallottola vagante. I colpi erano in rapida successione. I proiettili volavano attorno a loro. Orlandi cominciò una guida parecchio spericolata, passando con semafori rossi e non rispettando i segnali di precedenza. Ce l'avevano sempre alle costole. Decise di andare verso la stazione di polizia. Lì forse li avrebbero lasciati in pace. Gli inseguitori si dileguarono quando si resero conto della direzione.

«Forse è meglio se stasera vieni a casa mia. Mi sento più sicuro», le disse il commissario.

«No, Francesco voglio tornare a casa. Non ti preoccupare.»

«Ti accompagno.»

Quando arrivarono il commissario non se la sentiva di lasciarla, non dopo l'esperienza che avevano vissuto quella mattina.

«Sei sicura?»

«Sì, vai, vai. Se ho bisogno ti chiamo.»

Con la consapevolezza che una grave minaccia pendeva sopra alla sua testa Gloria era preoccupata e terrorizzata, ma non lo voleva dare a vedere e poi sarebbe stata non da sola, ma in compagnia di Carolina.

Cercò di recuperare un po' di self- control, ma quello che era accaduto l'aveva scioccata.

La tempesta sul mare di GalileaWhere stories live. Discover now