Capitolo 15

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Correre in casa non gli era mai sembrato tanto complesso.
Nemmeno le rassicurazioni di Clyde erano servite quella mattina, che trascorse praticamente tutto il tempo in compagnia di Søren e Yurick. Continuava a giocare con il ciondolo della collanina che Clyde gli aveva regalato qualche gara prima, in modo quasi compulsivo. Sentiva le gambe tremare, il fiato corto. Fu la voce del meccanico a riportarlo alla realtà, quando gli tolse improvvisamente dalle mani ciò con cui cercava di distrarsi. «È una corsa come un'altra, Gray. Non sta nemmeno piovendo, di che ti preoccupi?» «Hai presente quella sensazione di "non so che sta per succedere ma non sarà nulla di buono"? Ecco. Quella, porca puttana» sbottò, guardando il ragazzo davanti a sé «non mi sento al massimo delle mie forze, credo. Sento di perderla questa, e non voglio. Non posso.» «Ti stai facendo prendere dall'ansia, campione? Non è da te! Tu vinci sempre!» il tono dell'amico era deciso, energico. Riusciva sempre a motivare tutti, in un modo o nell'altro, e solo quando lo vide sorridere si decise ad indossare quella catenina come faceva prima di ogni gara, con la promessa di restituirgliela prima del podio.

Già nel warm-up si accorse che qualcosa non andava, ma non riuscì immediatamente a rendersi conto del problema. Solo quando si ritrovò sulla griglia di partenza, accanto al francese, notò qualche goccia sul suolo, sotto la sua moto. Era effettivamente un problema suo? Magari le perdite erano di qualche altro pilota avevano già fatto il giro di ricognizione, chi gli diceva che fosse un suo problema? E anche se lo fosse stato, come poteva accertarsi che fosse qualcosa di grave o meno? Forse era solo acqua, magari olio? Non ebbe effettivamente abbastanza tempo per riflettere lucidamente sul da farsi. La gara era appena cominciata, ed in qualsiasi caso non avrebbe avuto scelta se non correre in qualsiasi condizione fossero sia lui che la sua Honda, visto che aveva distrutto la seconda moto il giorno precedente alle prove. Col cazzo che si sarebbe ritirato.
I primi giri passarono tra un sorpasso e una rimonta tra i due. Ad un certo punto della gara superare Clyde era addirittura diventato il suo unico pensiero, tanto da fargli togliere dalla testa quel "piccolo" inconveniente che sì, riguardava decisamente la sua moto. Il problema gli tornò alla mente solo attorno al quinto giro, quando dopo l'ennesimo sorpasso di Clyde -che per giunta lo aveva involontariamente sfiorato nel concludere l'azione, facendolo traballare- si accorse della lunga scia alle sue spalle. Perfino la sua postura sulla moto era cambiata, il motore sembrava davvero starsi surriscaldando eccessivamente e quella leggera botta da parte di Clyde lo riportò alla realtà.

Ma forse lo fece troppo tardi.

Prima il fumo, poi la fiammata. Accadde tutto in pochi secondi. Era terrorizzato, tanto dal perdere il controllo e finire a terra contro il guard-rail. Alla velocità alla quale andava non fu di certo una botta leggerissima, e l'atterraggio sulla spalla e le costole già deboli a causa degli scorsi incidenti non semplificarono la cosa. Si sentiva mancare l'aria, lì bloccato tra il suolo e la sua stessa moto ancora in fiamme sulle gambe. Forse non fu la più abile delle mosse, ma alla ricerca di un briciolo di aria decise di togliersi il casco, lasciandolo cadere al suolo. Non riusciva però a spostare quell'ammasso di metallo ardente dal suo corpo con le sole braccia, e incastrato com'era non poteva permettersi di aspettare i soccorsi. Uno, due, tre calci furono necessari ad allontanare la moto in fiamme, che con l'ennesimo colpo scoppiò con un suono assordante, facendo finire a terra anche i soccorsi -e lo stesso Clyde, che aveva letteralmente lasciato cadere la moto per correre ad aiutarlo. Quel botto fu semplicemente accompagnato dalle urla del campione. Quando finalmente Clyde gli arrivò vicino -in lacrime e col fiato corto-, affiancato anche dai soccorritori, cercò si spostare le mani dal suo stesso viso. Stava singhiozzando, non sapeva nemmeno descrivere quale parte del suo corpo facesse più male in quel momento. Quando finalmente lui riuscì a prendergli le mani, non poté fare a meno che notare il sangue colare dal viso dell'altro. Probabilmente stava cercando di parlargli, ma quel briciolo di lucidità rimasta lo abbandonò qualche secondo dopo l'arrivo dei paramedici.
Non sentì più nulla.

Nessuno degli altri piloti era venuto a conoscenza dell'incidente, non prima dello sventolare della bandiera rossa da parte dei direttori di gara. "Corsa annullata", ecco cosa significava quella bandiera che ben pochi di loro avevano mai visto usare. Era comune sospendere, rimandare. Ma cancellare una gara voleva dire che qualcosa di grosso era successo. Qualcuno se la stava sicuramente vedendo brutta. Tra gli spalti ed i box si era scatenato il panico, soprattutto in quello della Honda.
Ci erano voluti Alexander e David -uno dei dirigenti della Yamaha- per bloccare e trascinare Clyde fuori dalla pista. E fu sempre merito del suo capo se, all'arrivo di Yurick, riuscirono ad allontanare in parte la folla di giornalisti. Quando quest'ultimo rientrò ai box era già in lacrime, e vedere le condizioni sia del francese che di Søren e gli altri non fu di certo consolatorio. Si precipitò subito tra le braccia del meccanico, che non ebbe nemmeno la forza di ricambiare quella stretta. Si sentiva così tremendamente responsabile, come cazzo aveva potuto non notate che ci fosse qualcosa fuori posto? Fallito ogni tentativo di comunicazione com lui, provò a scompigliare i capelli di Clyde. Si abbassò vicino a lui, seduto sul pavimento, trascinandolo in un abbraccio assolutamente non richiesto che però, almeno stavolta, non fu respinto. «Non mi sono nemmeno accorto di averlo speronato! Come cazzo è possibile?! I-io non volevo questo, dovevamo d-dirlo a tutti oggi! Mi aveva promesso di baciarmi sul podio e adesso c-cosa?! Che cazzo dovrei fare adesso è tutta colpa mia!». Le parole di Clyde erano veloci, confuse; risultava difficile capire cosa stesse dicendo visti i singhiozzi. «No che non è colpa tua, Gautier! Non è colpa di nessuno di voi!» ribatté Yurick, stavolta riferendosi anche al meccanico. Riuscì in un modo o nell'altro a trascinarlo in quella sorta di abbraccio di gruppo, prima di riprendere a parlare: «Kain è il ragazzo più tosto che conosca. Ce la farà, andrà tutto bene... Ma avrà bisogno di noi. Dobbiamo essere forti per lui!» concluse, cercando di asciugare le lacrime per quanto complicato. Non ebbero modo di continuare la discussione, in quanto furono interrotti da uno dei medici della clinica mobile che, rivolto ad Alexander, gli fece cenno di seguirlo. Sicuramente dovevano portarlo altrove, in un vero ospedale. E quando lui si alzò per accompagnarlo, Clyde non perse tempo a corrergli dietro a sua volta. Dopo diverse moine sui motivi per i quali non gli sarebbe dovuto essere permesso seguirli, Alec non riuscì a mandare via quel ragazzo in quelle condizioni. E sapeva, in cuor suo, che anche Kain avrebbe voluto averlo accanto al suo risveglio.

Ad avere entrambi i ragazzi davanti, sull'elicottero, Alexander non riusciva a dire chi stesse peggio.
Il primo non riusciva a smettere di singhiozzare e tremare, con evidenti problemi a respirare; l'altro stava disteso su un lettino improvvisato, ancora intubato e con a stento il viso ripulito dal sangue. Non avevano nemmeno potuto togliergli la tuta, per paura di eventuali ustioni.
«Mi dispiace» continuava a ripetere sottovoce Clyde, sfiorandolo delicatamente tra i capelli. Quella situazione lo stava stremando: si sentiva colpevole di quell'incidente, era stato lui a speronarlo. Non poté fare a meno che ripensare alla caduta del Mugello, dove anche Yurick era rimasto coinvolto. "Sarei sicuramente impazzito al tuo posto", gli aveva detto. Cazzo se stava impazzendo, adesso. Nonostante il silenzio in quel posto, nella sua mente non riusciva a smettere di sentire le urla ed il pianto di Kain. Avrebbe dato qualsiasi cosa per stare al suo posto, in quel momento.
«Mh.. C-Clyde..?» la vocina flebile del campione per un attimo riempì l'aria. Era impossibile non accorgersi di quel tono dolorante, quasi vicino alle lacrime. Faceva male, faceva incredibilmente male. Non riusciva a sentire il suo stesso corpo, forse per i medicinali o forse semplicemente per la botta. Ma nonostante tutto cercò disperatamente di allungare una mano verso il viso del francese fino a sfiorarlo, per poi sforzarsi ad accennare un sorrisetto -come se non stesse soffrendo come un cane, in quel momento-. «Smettila.. Sto bene» sussurrò cercando di fermare le sue lacrime. Per tutta risposta Clyde nel vederlo sveglio e sentirgli dire quella frase, scoppiò a piangere ancora più rumorosamente. «Je t'aime, mon chéri» singhiozzò di rimando, ignorando il fatto di essere sentito o meno da soccorritori o lo stesso Alexander. Il suo piccoletto rischiava di morire, quanto poteva importargli di chi avesse accanto? «Devi essere forte, intesi? Devi rimetterti in fretta, mi devi ancora un bacio sul podio.. E devo ancora riportarti a Reims! Te l'avevo promesso» aggiunse, poggiando una mano sulla sua, ancora intento ad accarezzargli il volto; subito dopo se la portò alle labbra per poterla baciare. Kain sembrò stringere appena la mano a sua volta. Come aveva potuto fargli questo? Dopo tutte le raccomandazioni, le sue paure e richieste di stare attento, lo aveva fatto di nuovo. Aveva ancora una volta tradito la sua fiducia. Lo aveva deluso, fatto piangere e preoccupare. E lo stava facendo soffrire nel peggiore dei modi.

Ed ancor prima di potergli dare una risposta o scusarsi, gli occhi gli si chiusero soli.

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⏰ Last updated: Mar 28, 2021 ⏰

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