18. 𝘓𝘢 𝘍𝘰𝘳𝘵𝘶𝘯𝘢

Începe de la început
                                    

- Ora. Vediamo di parlare di cose serie -
- Questo gruppo è nato per dare una famiglia agli esclusi. Probabilmente agli occhi del mondo, noi non siamo altro che i reietti della società. Gay, lesbiche, asessuali, transgender, noi siamo queste etichette, non degli esseri umani. Non siamo considerate come persone, ma come dei mostri, come qualcosa di cui avere paura. Questo perché chi sta ai piani alti, chi sta al governo, ci vede come eterosessuali mancati. Se solo potessero ci manderebbero tutti in terapia di riconversione - Namjoon fece una pausa, scuotendo visibilmente la testa.
- Ecco perché è arrivato il momento di cambiare le cose - disse, puntando un dito sul tavolo.
- È arrivato il momento anche per la Corea del Sud di cambiare. Per chi non lo sapesse, da poco c'è stato l'anniversario dei Moti di Stonewall in Inghilterra. Una rivoluzione che ha preso piede a Londra, simbolo dell'orgoglio lgbt, combattuta da un gruppo di persone coraggiose come noi -
- Se avete delle domande, non esitate - Taehyung non aveva propriamente capito cosa significasse quella parola... lgbt? Era la prima volta che l'udiva e proprio quando decise di essere abbastanza coraggioso da chiedere quel chiarimento, Hyejin gli toccó una spalla.
- Lesbiche, gay, bisessuali e transgender. È un acronimo - gli sussurró all'orecchio.

- Il nostro obiettivo è rifare la stessa cosa. Un gay pride, una manifestazione, una parata alla luce del sole, dove tutti possano vederci, senza dover più nascondere chi siamo e come amiamo - il capo si voltó verso Seokjin e gli sorrise di sbieco, mettendogli una mano sulla spalla.

- Non rischiamo di farci prendere dalla polizia e farci spedire nei manicomi, o peggio, terapie di riconversione? - domandó un ragazzo gracile, talmente sottile che Taehyung si chiese dove potessero essere tutti i suoi organi vitali. A discapito della sua immagine a prima vista innocente, Taehyung si accorse un attimo più tardi dei tatuaggi che gli ricoprivano le braccia e parte del collo grazioso.

- Questo è uno dei rischi Changkyun, sì. Non lo nego, sarò sincero con voi ragazzi. Se deciderete di farlo, sarete tutti a rischio -

- Perché dovremmo allora? - domandó un'altra ragazza dalla pelle scura e dalle lunghe treccine nere che le sfioravano le spalle.

- Perché quando la giustizia manca, la resistenza è un obbligo, Amachi. Per questo dobbiamo agire insieme, perché solo insieme si possono cambiare le cose - quella risposta sembró quietare tutti i presenti, anche il ronzio di una mosca sarebbe stato fuori luogo.

- Come pensiamo di cambiare le sorti della nazione con un numero così ristretto di persone? - fu Jungkook a rompere la cospirazione del silenzio. Namjoon lo guardó e poi sorrise.

- Oh ma noi siamo ovunque, siamo centinaia. Siamo migliaia. Siamo ovunque, solo che nessuno si è mai accorto di noi. Ed è questa la nostra arma nascosta Jungkook -

- A due settimane da questo giorno, la Corea del Sud urlerà di stupore nel vedere i figli del diavolo correre per le strade della città -

~

Jennie era costernata. Aver udito le parole di Namjoon era stato pressochè un'esperienza fuori dal mondo. Mai, in tutta la sua vita, aveva incontrato qualcuno più deciso e fiero di Kim Namjoon. Un uomo che non solo credeva in sè stesso, ma soprattuto negli ideali che tentava di trasmettere alle persone, nell'amore che cercava di spargere, per donare la libertà a tutti.

Quella era la resistenza. Quelle persone, dapprima dubbiose, ora avevano ritratto sul volto tutte la medesima espressione. Felici, decise, senza paura. Perché era quello il potere conservato nelle parole di Namjoon. Un leader pronto a sconvolgere le sorti di un'intera nazione.

Wendy, la ragazza che le aveva appeso la perla al collo, era rimasta accanto ad Hyejin, evidentemente amiche da tempo. Jennie la scrutó a fondo. Aveva un corpo formoso, fasciato da una gonna e da delle calze a rete nere. Le curve del suo corpo che si amalgavavano le une sulle altre, risultanti di un involucro armonioso e pieno. Non aveva paura di mostrarlo, tant'è che Jennie non riuscì non a simpattizzare immediatamente con lei. Era stata talmente carina da rivolgerle anche un dolce e tiepido sorriso di circostanza.

Nonostante la speranza infondata dalle parole del capo dei songdao, Jennie aveva ben altro a cui pensare. Era dalla sera prima che non vedeva Artemis, dopo quell'errore madornale che aveva commesso di sfuggita.
Quanto avrebbe voluto vederla! Per parlarle, per spiegarle, per dirle che se davvero la odiava, andava bene, che se lo meritava, ma un rifiuto sarebbe stato sempre meglio che tenere le cose così orribilmente in sospeso.

Paradossalmente, aveva completamente accettato la sua condizione di donna rinchiusa nel corpo di un uomo dopo quel litigio con Mise. Come se la verità fosse emersa dalle sorgenti di una cascata, con lo stesso peso della forza di gravità che fa schiantare un sasso sulla superficie dell'acqua. Era una donna, si sentiva una donna. E forse i songdao l'avevano salvata dalla completa deriva della sua anima, chè ora era conscia di essere parte di un gruppo di persone che lottavano anche per i suoi diritti. Che lottavano per la sua vita, e per quella che si meritava.

Avrebbe ben presto avuto il coraggio di affrontare Artemis, di implorare il suo perdono. Come poteva non lottare per la donna che le aveva rubato il cuore?

La sua avventura non era ancora finita. Era appena cominciata.
Cominciata come Park Jennie.

E aveva giusto un'idea, un'idea magnifica e folle, e non avrebbe avuto paura di essere il pesce che nuota controcorrente.

~

- Piega un po' di più la testa, così, verso di me - spiegó Jungkook, aiutandolo con il movimento della dita.
- Sei meraviglioso - disse Jungkook, sprogendosi in avanti per baciare il suo ragazzo.
- Smettila di farmi dei complimenti oppure ti ritroverai un peperone nelle foto - disse schiettamente Taehyung.
- Non penso che Jimin abbia da ridire qualcosa, ormai sei il suo pupillo -
- Questo te lo sei appena inventato - si sentirono i click della macchina fotografica che andavano a ripetizione.
- Ti pare sprecare un rullino per delle foto in cui sto parlando? -
- Sei più spontaneo così, mi piacciono di più, si vedono il vero te stesso - spiegó il ragazzo.
- Non posso essere me stesso con un completo di giacca e pantaloni in pelle, specialmente se indosso solo questo. Mi sento la gomma di un'auto-

- La gomma ti fa molto sexy, cara princesse -
- Mi stai esasperando -
- E tu continui ad essere sexy anche da esasperato - Taehyung impiegó i dieci secondi successivi a paragonarlo ad un cactus spinoso infilato nel sedere.

- Apprezzo i complimenti. Ti amo anche io, Taehyung - disse sarcastico Jungkook. Il fotografo lo scrutava dall'obiettivo, e fu quando non sentì una battuta in ritorno che cominció a preoccuparsi. Inoltre il piccolo Taehyung riflesso nell'obiettivo, era immobile, come se una lenta si fosse rotta e avesse trasmesso in loop l'ultimo fotogramma registrato.

- Che hai detto? - chiese scioccato il modello.
- Che ho detto? -
- Hai detto che mi ami - Taehyung gli stava puntando un dito addosso, troppo sconvolto per fare qualsiasi altra cosa.
- Non osare rimangiartelo -
- Non potrei mai - disse Jungkook, consapevole di averlo detto senza pensarci troppo. Gli era completamente uscito dalle sue labbra rosa come se fosse la cosa più naturale di tutte.
- Perché ti amo anche io - e Jungkook non vide più nulla se non un Taehyung determinato correre verso di lui, togliergli la macchina fotografica dalle mani e baciarlo con foga.

Se qualcuno avesse fatto irruzione in quell'istante nello studio di Jungkook, probabilmente avrebbe visto il corpo longilineo vestito di pelle di Taehyung fra le braccia di Jungkook, un abbinamento che stonava parecchio con la tuta grigia che indossava l'altro ragazzo, con i capelli lunghi e ricci tirati su, le mani che si muovevano con foga sulla schiena dell'altro, cercando di intrufolarsi sotto quel completo troppo stretto e troppo invadente che non gli permetteva di graffiargli la pelle.

Con la speranza di una nuova vita insieme, Jungkook e Taehyung si strinsero l'uno all'altro, dannati da una nazione che non li reputava come figli, ma come mostri, amati da persone che cercavano di andare oltre i confini della realtà, lottando contro le ingiustizie.

Ma soprattutto si amavano per sè stessi e per godersi quell'amore, fragile come i papaveri appena sbocciati, avrebbero dovuto lottare molto di più.

𝘗𝘦𝘳𝘭𝘦 𝘦 𝘳𝘰𝘴𝘴𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘤𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘪𝘯𝘢 || 𝒗𝒌𝒐𝒐𝒌Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum