II - Parigi, adieu

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L'aeroporto Parigi - Charles de Gaulle, era un formicaio, almeno era questo che pensava Natalie mentre si tirava dietro il suo trolley, seguendo i genitori lungo i corridoi dell'aeroporto.

Natalie notò alcuni giornalisti assiepati ai lati del corridoio, in mezzo alla folla di persone che riempivano quegli spazi con le loro chiacchiere.

Suo padre Avner era un uomo alto dai capelli neri e gli occhi bruni nascosti dagli occhiali da vista, all'ospedale di Long Island lavorava come ginecologo, era un padre molto esigente per quanto riguardava lo studio e i voti della figlia, ma le voleva molto bene e per lei desiderava solo il meglio.

Avner teneva la mano a sua moglie Shelley, una donna non molto alta dai capelli castani, come quelli della figlia, grandi occhi neri e un bellissimo sorriso sempre ad illuminarle il viso.

Di lavoro faceva la casalinga, ma amava anche tantissimo l'arte.

-Coraggio, Natalie! - sorrise Avner notando che la figlia si era fermata davanti ad un'edicola, presente in aeroporto, in cui vi era una foto di lei in prima pagina.

-Arrivo, Aba! - Natalie recuperò il suo trolley affrettandosi a raggiungere i genitori.

-Tutti bene, tesoro? - chiese Shelley mentre caricavano i bagagli sul nastro dopo aver fatto il check in.

-Sí, sono solo un po' sottosopra - rispose la ragazzina con un sorriso rassicurante.

Avner non disse niente, si limitò a guardare sua moglie e sua figlia, ascoltandole attentamente mentre loro discorrevano nella lingua natale sia Shelley che di Avner ovvero l'ebraico.

Shelley aveva insistito tanto su questo punto e Avner si era detto d'accordo, era giusto che la loro unica figlia conoscesse anche la cultura del paese in cui era nata e dove aveva vissuto fino ai tre anni, ovvero Israele.

Avner non avrebbe mai lasciato la sua terra natale se non fosse stato per degli avanzamenti di carriera che aveva ottenuto, i quali gli avevano permesso di andare negli Stati Uniti.

Forse per via del fatto che gli ebrei erano un popolo da sempre in viaggio il primo luogo dove si erano fermati, una volta entrati in America, era stata la capitale Washington DC, dove avevano vissuto per quattro anni per poi trasferirsi nel Connecticut.

Ma anche nel Connecticut non erano rimasti a lungo poiché, dopo due anni erano tornati a New York e si erano stabiliti a Syosset, dove stabilmente vivevano ormai da qualche tempo.

Avner non aveva più intenzione di muoversi perché si trovava bene a Long Island e sapeva che anche Natalie e Shelley la pensavano così.

L'uomo venne distratto dai suoi pensieri dalla voce squillante della figlia che lo chiamava.

-Aba! Andiamo!

-Arrivo, Nat - rise Avner mentre seguiva la moglie e la figlia verso la pista dove li attendeva l'aereo che li avrebbe riportati a casa.

Natalie si sedette sul sedile di fianco al finestrino, mentre Shelley si era accomodata nel sedile vicino alla figlia, Avner si sedette non poco distante dalla moglie.

-Tutto a posto, Nat? Hai l'aria un po' stanca - domandò Shelley notando le profonde ombre sotto gli occhi della ragazzina.

-Ho dormito poco stanotte - rispose semplicemente la giovane stringendosi nelle spalle.

Shelley decise di non indagare, era ovvio che Natalie non voleva parlarne.

La ragazzina non poteva raccontare alla madre che non aveva dormito perché era stata agitata tutta la notte per via delle forti emozioni vissute durante la presentazione di Leon-The Professional.

I diari del cigno nero Where stories live. Discover now