Capitolo 8.2

7 1 0
                                    

Delia batté i piedi con le scarpe da ginnastica al lato del tappeto rosso della pista, per liberarsi della terra umida. Il resto della squadra della staffetta l'aspettava al centro del campo. Erano persone che frequentavano alleanze completamente diverse dalle sue e con le quali condivideva solo alcuni dei corsi. Uno di questi, un alleato di Bemus con cui ogni tanto passava il pranzo, di nome Ettore, si era nominato capitano della squadra, e nessuno di loro aveva osato ribattere. Era tra di loro il più veloce. Tartassava spesso Delia dicendole che non prendeva abbastanza seriamente le olimpiadi, cosa che era vera, ma non vuol dire che non le desse fastidio.

Mentre saltellava sul posto per sgranchirsi le gambe, vide Sofia al lato del campo parlare con Iason, appoggiato sulla recinzione metallica con entrambe le braccia asciutte e chiare. Stava sorridendo. Era ormai una settimana che leggevano una sera sì e una no, poiché alternava la guardia del pomeriggio con Damiano, e lei respirava in quei giorni l'aria del Botanico pensando che avesse il sapore della libertà.

Statua, muovi quelle gambe di marmo o ti riporto al tempio!

Ettore era arrabbiato perché era l'unica che non si era messa a correre attorno al campo. Mentre seguiva il resto della squadra, Delia ripensava alla conversazione che aveva avuto l'altro ieri con il Guerriero. Avevano discusso, come sempre, ma anche stavolta non aveva osato dargli ragione.

Avevano letto il mito di Gige, ovvero, parole di Iason, "il più stupido mito che abbia mai sentito". Aveva un ché di fantastico, parlava infatti di un anello che permetteva di diventare invisibile trovato da un contadino, con il quale ingannò molte persone e divenne re, ma Delia sapeva bene che il messaggio era sempre lo stesso: senza la guida delle leggi, gli uomini sarebbero stati per natura inclinati a compiere il male.
"Fuori a me pare che vivano benissimo anche senza che siano così dure" le aveva detto Iason.
"Ah sì? Vedo infatti che le loro civiltà durano per lunghissimi secoli".
"Ma tu, che ne sembri sapere tanto, ci sei mai stata al di là delle mura?"
Delia non aveva risposto.
"Le cose funzionano. E la gente sembra di sicuro più felice di noi"

Aveva cercato di fargli capire che quelle sue parole erano irrilevanti. Se anche fosse stato vero, "sembrare" felice non significava necessariamente esserlo. E gli anni di storia e la differenza di progresso lo dimostravano. Non l'aveva convinto, ma ormai aveva rinunciato a cercare di avere una conversazione pacifica con lui. E, a dirla tutta, ogni volta che leggeva o parlava non era nemmeno sicura che le stesse prestando attenzione veramente.

Ed ora eccolo lì, con Sofia, a ridere. A ogni giro di campo erano più vicini. Al terzo lei aveva appoggiato la sua mano sul braccio di lui, in modo indifferente, mentre parlava. Per lei era così facile piacergli.
Delia andò quasi a sbattere al resto della squadra che si era fermata.

– Direi due circuiti per iniziare. Statua, guida tu visto che oggi ti vedo proprio carica.

Dovette liberarsi la testa per concentrarsi. Non riusciva a capire cosa diamine le stesse prendendo. Si distrasse con gli esercizi e quando si rialzò era tutta sudata, ma Sofia e Iason erano ancora lì. Lei indossava i pantaloncini e la maglia sportivi, per cui era venuta al campo per partecipare agli allenamenti, e non per fare gli occhi dolci a Iason.

– Riprendete a correre – ordinò Ettore.

Un giro di campo, gli stava sussurrando all'orecchio? Secondo giro di campo, lui stava ridendo. Terzo giro di campo, spariti. I polmoni le bruciavano ma non era sicura fosse per la corsa. Quando si fermarono per riprendere fiato, Ettore diede altri esercizi da fare.

– Sofia non si allena con noi oggi? – gli chiese prima di seguire gli altri.

Lui si guardò attorno, forse per cercarla. – A quanto pare ti funzionano ancora gli occhi, Statua.

– E le olimpiadi?

– Oh, là, e vedi che ti interessa alla fine? Teo muovi quel culo! – poi le diede una spinta alla schiena per farle seguire gli altri – Sofia si allena tutti i giorni, se salta un allenamento non farò una strage.

– Anche io mi alleno tutti i giorni.

Le lanciò un'occhiata di traverso mentre camminava. Se si fosse potuto strozzare qualcuno con lo sguardo, sarebbe stato quello. – Tu sei stata ferma quasi un mese, Statua. Sarai brava a scuola, ma la corsa non si vince col peso del cervello. Quindi muovi quelle gambe di marmo o-

– Mi riporti al tempio, lo so.

Sorrise e sospirò in modo drammatico. – Se solo fossi brava a correre quanto sveglia.

Delia non riuscì a concentrarsi per tutto l'allenamento. Continuava a chiedersi dove fosse finito Iason, probabilmente in un angolo nascosto del Botanico, o in una delle camere. Si ripeteva continuamente quanto fosse inutile e quanto in realtà non dovesse interessarsene. Quando si cambiò nello spogliatoio, spiò il proprio aspetto dallo specchio minuscolo sopra il lavandino. Aveva i capelli biondo scuro tutti per aria e il viso rosso e gonfio, e si pentì di averlo fatto.

Dovette aspettare alle tribune, perché Iason non si era ancora fatto vedere. Dentro di lei ribolliva di rabbia.

Perché diamine mi ha lasciata qui? Si è dimenticato di venirmi a prendere?

Si guardava i piedi poggiati alla recinzione di metallo attorno al campo, desiderando di sparire.

Più ci pensava, più lo giustificava.

Sofia era affascinante coi suoi occhi blu, il naso piccolo e quel corpo sinuoso. Portava tutti a proprio favore con uno sguardo, e per la sua simpatia andavano oltre quella sua mania di sparlare di tutto.
Delia cos'era? Piatta come una tavola, con il viso quasi da bambina e poi testarda, e saputella (non l'avevano chiamata spesso così appena aveva messo piede all'Accademia?). Lei era la Statua, fredda e noiosa. Non c'era da stupirsi se Iason si fosse dimenticato di lei.

Ma poi che importa?

Anche se fosse stata più bella, più intelligente, più simpatica, non era sicura che avrebbe dato a Iason quello che avrebbe voluto. Anzi, ne era certa. Al pensiero le tremavano le braccia. Lei voleva essere una Governante e basta.

Quando comparve correndo, con i capelli spettinati e con addosso la divisa metallica, a Delia non era rimasta più rabbia.
– Scusami Delia. Ho perso la cognizione del tempo. È tanto che aspetti?
Lei alzò le spalle, non sicura di cosa provasse dentro di sé. – Non ti preoccupare.

Il Guerriero si fermò stizzito. – Niente rimprovero, sono colpito. Dove sono i tuoi discorsetti sul rispetto di un Governante, eccetera eccetera?

Ingoiò il magone che aveva in gola e cercò di rimediare il sorrisetto più realistico che poté. – Posso rimediare subito, se vuoi.

Cercò di non discostarsi quando lui le spostò dal volto una ciocca di capelli ondulata. – Tienili in serbo per stasera – disse, e di nuovo quel sorriso. Più cercava di capirlo, più Iason si faceva un problema di matematica irrisolvibile.

Indietreggiò, insicura. Quante parti del corpo aveva toccato di Sofia? E adesso stava usando quelle stesse mani per sfiorare in quel modo la sua guancia. Si mise a camminare, chiedendosi perché mai si stesse preoccupando così tanto di quello che faceva uno stupido Guerriero.

Lo Stato Ideale della mente - ORIGINAL STORYWhere stories live. Discover now