Capitolo 5.2

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Quando riacquisì coscienza, aveva le ciglia piene di grumi e cercò di strofinarsi il viso sulla spalla. Faticava ad aprire gli occhi, continuando a vedere infiniti puntini viola e verdi che comparivano e sparivano nel buio.

La bocca era secca e chiedeva disperatamente acqua. Le bruciava la gola in un modo terribile ogni volta che ingoiava la saliva. La fame era un vuoto nello stomaco che graffiava e toglieva qualsiasi altra forza.

Cercò di stabilizzarsi, strinse le dita sui palmi delle mani, poi gli occhi, e cercò di aprirli. La stanza era completamente al buio, la luce della luna entrava fioca dalla finestra appannata sopra di loro, illuminando solo quella parte della stanza e lasciando il resto in un'oscurità penetrante. L'odore di vino marcio e inasprito pizzicava il naso.

– Iason – chiamò con voce incredibilmente roca.

Alle sue spalle sentì un gemito. – Iason. Svegliati.

Il Guerriero si mosse un poco e girò la testa. – Che, che ore sono?

– Non lo so, è notte. Devono essere andati a dormire.

Lo senti deglutire, forse aveva la bocca secca come la sua. Sembrava ancora distante quando chiese: – Tu come stai?

– Sto bene, credo. E tu stai bene?

Stette in silenzio per un po'. – Sì.

Ebbe di nuovo il pensiero del Produttore che gli toccava la ferita e lo prendeva a botte. – E la testa?

– Ti ho detto che sto bene.
Sembrava tornato quello di sempre. Era arrabbiato? Delia non poté capirlo.

– La sera è passata, adesso, no? Si saranno accorti che non ci siamo, di sicuro, magari già da un pezzo. Potrebbero essere qui a momenti– vagheggiò, ma dietro di lei Iason non aprì bocca. Non aveva la stessa aria di prima quando stava pensando, era un silenzio freddo, come se avesse perso ogni altra energia.

Le oscillò la voce. – Iason, verranno a prenderci, vero?
E quei momenti che si prese prima di rispondere, ecco quelli, bastarono a farle intuire che non avevano più speranza.

– Abbiamo ancora del tempo, finché stanno dormendo non corriamo pericolo – si era sforzato di prendere un tono tranquillo, ma Delia si irritò.

– Non mentirmi, Iason. Voglio sapere cosa sai. Se stiamo per morire lo voglio sapere. Devi dirmelo hai capito? – poi si impegnò di prendere un tono più autoritario, scandendo le parole – Cosa sai?

– Va bene, moriremo – sbottò – è questo che volevi sentirti dire? Perché siamo bloccati qui senza una stramaledetta via d'uscita e nessuno ci verrà a prendere.

Il suo cuore si tuffò nel petto, e poi si sentì completamente senza energie. Si era aspettata che sarebbe impazzita nel sentire quelle parole, che si sarebbe dimenata fino quanto le corde glielo avessero permesso, invece tutto il suo corpo si rilassò, presa da un'improvvisa apatia, forse perché in fondo l'aveva capito fin dal primo momento in cui aveva aperto gli occhi.

Forse questa è davvero la fine.

Sarebbe morta lì, uccisa dai Produttori, proprio come sua sorella. Addio al suo progetto di entrare nel Consiglio, addio ad Alex, al Botanico, addio a tutto quanto. Non riusciva nemmeno a essere triste, solo un enorme vuoto si era fatto spazio nella sua testa e nel suo petto e la copertura del suo volto impassibile era completamente saltata.

Lasciò indietro la testa che si appoggiò a quella di Iason, il quale non fece nulla per spostarsi.
Si sentì invasa da un'improvvisa consapevolezza.

– È tutto così sbagliato – sussurrò all'aria – Non dovrebbe essere così. Questa non è la società che si era immaginata Platone.
La voce le tremava. – Non hanno la più pallida idea di quello che stanno facendo. Pensano che uccidendoci risolveranno le cose, invece le peggiorano.

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