Capitolo 2.1

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La giornata si prospettava normale come quelle di sempre: fece un'ora di matematica con il professore Artimos, un uomo tozzo e senza collo che aveva una voce nasale al limite del sopportabile, e una di farmacologia. Durante musica, sotto consiglio della professoressa Melosa, Delia era tornata al flauto traverso dopo una pausa con la lira, per la quale era totalmente negata.

– Dove stai andando? – chiese quando vide Alex camminare veloce oltre la classe del professor Logotaco. Aveva in mano il camice da Laboratorio e le fece un sorriso peperino, che illuminò così bene la pelle abbronzata.

– Pacco filosofia – disse alzando il camice.

– Vai al laboratorio? Come mai?

– Vogliono che finisca il progetto prima di sabato.

Delia si spostò più in là per far passare degli studenti che si spintonavano per entrare in classe.

– Comunque credo di perdermi solo un'altra strigliata – continuò e dondolò le braccia, come se il suo corpo diceva che non gli interessava affatto – Hai visto quanto era arrabbiato la scorsa volta? Aveva detto che oggi avrebbe portato gli esami corretti. Scommetto che non è molto contento.

Gli occhi nocciola di Delia guizzarono sui suoi, cercando di capire se avesse intuito correttamente il suo sconforto. – Ti è andato male?

Alex alzò le spalle. – No, macché. Però, credevo fosse andato meglio. Non capisco mai cosa vuole, e sì che avevo scritto le stesse cose dell'anno scorso. Ormai faccio affidamento solo sui miei voti in scienze.

Il suo volto tradiva una certa delusione, ma cercò di nasconderla guardando la fila di studenti che si avvicinava dietro Delia. – A te com'è andata invece?

– Bene, credo.

– Ma certo, cosa te lo chiedo a fare. Ti adora. – lo disse con un tono troppo schietto e Delia sospettò che fosse infastidito. Ma la guardò e le sorrise, forse si era accorto che era stato troppo brusco e non voleva di certo sembrare invidioso: d'altronde aveva sempre avuto più possibilità di entrare nel Consiglio di quelle che avrebbe mai potuto avere lei.

– Adesso è meglio che vada. Ci vediamo dopo, se finisco in tempo.

Quando Logotaco si sedeva sopra la cattedra, voleva dire che era scontento.

Forse l'età avrebbe dovuto implicare un comportamento più contenuto, ma lui di solito non stava mai fermo: era alto e slanciato, aveva poche rughe e il carattere tenace e spigliato come quello di un ventenne. Dal suo volto spuntavano come perle di vetro due occhi cerulei, che spesso schizzavano da una parte all'altra della classe nella frenesia di un discorso che gli stava particolarmente a cuore.

Una volta che erano tutti seduti, non li salutò: se ne stava con le mani incrociate e ci mise moltissimo prima di dire qualcosa.

– Le stesse cose – la sua voce era diretta e sicura – Le stesse cose dell'anno scorso. Mi avete scritto le stesse cose dell'anno scorso. Mi ricordavo di essere entrato più a fondo nella questione invece, molti di voi, hanno semplicemente riscritto le stesse cose dell'anno scorso.

Delia intuì subito che stesse parlando dell'esame. Era passato così tanto tempo che ormai si era dimenticata persino di cosa avesse scritto. Aveva scritto anche lei le stesse cose?

Logotaco storse le labbra. – Voi dovreste essere dei filosofi! Invece date per scontato le cose che dovreste sapere meglio di tutte. Chissenefrega se siete dei bravi contabili se non riuscite a capire nemmeno la filosofia più basilare?

Si riprese, scese dalla cattedra e si sistemò la tunica stretta al collo che aveva preso a dargli fastidio. Poi sospirò. – Dovreste riguardare le vostre priorità. A nessuno importerà quanto fate bene i calcoli quando dovrete entrare nella scuola di specializzazione.

Lo Stato Ideale della mente - ORIGINAL STORYWhere stories live. Discover now