Capitolo 2.3

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Davanti a casa della balia trovarono un Guerriero più anziano ad aspettarli, con la barba sfolta, i denti gialli e il viso macchiato di viola e scolorito per l'età, insomma uno di quei guerrieri che avevano superato ormai la giovinezza da molto tempo, condannato a semplici mansioni all'interno dalle mura e lontano dalla faticosa attenzione che necessitava la guerra.

Delia pensò fosse da solo, ma non appena quello fece un giro su se stesso per cercare qualcosa o qualcuno, vide svoltare l'angolo dal suo compagno in sovrappeso. Dovevano essere venuti per prendersi i cavalli e avevano portato con loro delle nuove divise.

Keelan teneva sospesa una maglia completamente nera. La guardava con gli occhi stretti quasi stesse provando a vederci attraverso.

– Dov'è l'armatura? – chiese Damiano, che aveva pantaloni e maglietta piegati sul braccio e aspettava il resto della divisa con il gomito appoggiato sulla spada. I due si guardarono e le labbra tremarono: trattenevano una risata.

– Non siete in guerra ragazzi – disse quello in sovrappeso – Il vostro scopo è proteggere un cittadino, non uccidere i portoghesi. Non potete farlo se ve ne andate in giro brillando come palle di metallo.

Quelle parole gettarono un'aria pressante palpabile anche dalla posizione di Delia, che non c'entrava nulla. Forse non erano in battaglia, è vero, ma essere così esposti senza protezione avrebbe significato essere totalmente vulnerabili. Si sentiva in colpa e non sapeva nemmeno il perché, d'altronde erano affari loro, problemi loro. L'unica immagine che aveva in mente, tuttavia, era il guardare mentre si menavano con dei Produttori e il sangue che schizzava ovunque.

– Le spade le teniamo? – chiese Iason a tono dritto.

– Le spade le tenete – rispose il secondo dei due, con lo stesso tono – Fino a ordine contrario.

Si era messo a legare tra di loro le cinghie dei cavalli. Poi allungò a Iason i suoi vestiti neri, quasi lanciandogli addosso, e sospirò in modo drammatico. – Sapete com'è... molto pericolosa, la vita del Guerriero.

Il suo compagno sovrappeso cominciò a ridere. Delia pensò che fosse stupido dal momento che neanche loro stavano portando avanti chissà quale missione, ma quello che forse una parte della sua logica le nascose, era la vergogna dovuta all'indolenza di quel mandato: Damiano, Keelan e Iason non erano mica dei vecchi bacucchi incapaci di combattere.

Quello che non le sfuggì fu però la voce di Iason, che aveva sussurrato a se stesso e a nessuno in particolare: – Carne viva.
Il tono fu così basso che Delia dubitò che gli altri l'avessero sentito, ma a lei era bastato. Carne viva pronta per essere fatta a pezzi.
Se prima non aveva motivo per odiarla, adesso forse ce lo aveva.

Scivolò in casa mentre si cambiavano, visto che si erano già messi a sganciarsi le armature all'aria aperta, e non appena Altea vide i suoi gomiti sbucciati, nonostante Delia avesse ripetuto più volte che non era niente, la sentì far strambella in bagno. Tornò ondeggiando pochi secondi dopo con due cerotti quadrati e una boccetta di disinfettante che doveva essere costosissima. Tutti i suoi rifiuti vennero accantonati e la lasciò fare: era impossibile far fronte a quella massa premurosa coperta di lentiggini.

Si distese sul letto con un sospiro, la schiena era ancora dolorante.
Fin quanto sarebbe durato? Alex aveva ragione a essere preoccupato.
Per un secondo, ebbe l'idea che sarebbe stato tutto molto più facile se semplicemente si fosse lasciata uccidere.
Niente più problemi per lo Stato, niente più vite di Guerrieri messe a rischio.

Non è forse quello che ti hanno sempre insegnato, a mettere il bene degli altri sopra il tuo?

Un eco lontano.
Quella notte non chiuse occhio per gli incubi.

***

Quando uscì dalla casa quella mattina, Iason la guardò. Non c'era molto da interpretare in quello sguardo, d'altronde erano solo degli occhi neri posati sul suo viso, ma le parve che avesse indugiato troppo a lungo prima di tornare da Keelan, che era tutto elettrizzato mentre parlava di un'arte marziale piena di calci che aveva visto fare a due prigionieri orientali.

Ora che avevano le nuove divise, braccia muscolose uscivano da quelle magliette di cotone scuro, e persino il più giovane dei tre sembrava più agile senza quel quintale di ferro addosso.

Altea si stava lamentando con Damiano perché avevano rifiutato la sua torta all'acqua, e se ne andò ondeggiando un po' più del solito, con il mento alzato, come se volesse mostrargli che si era offesa.

Ma Delia sentiva ancora lo sguardo nero del guerriero addosso di lei. Non seppe perché, ma continuò a pensarci anche per tutto il tragitto verso l'Accademia, senza interpretarlo, solo l'immagine di quel volto spigoloso e gli occhi bui. Voleva scusarsi? Si sentiva in colpa?

Damiano sembrava a disagio. Alla sua sinistra, lei nemmeno ci pensava più alla corsa dei cavalli, tanto meno alla caduta, ma il Guerriero, essendo il più grande dei tre, forse si sentì in dovere di prendersene la responsabilità.

Non la guardò con pietismo, ma in modo più formale e distaccato, persino con imbarazzo. – Mi dispiace per ieri – disse e distolse subito lo sguardo, stringendo leggermente l'interno delle guance sotto i denti e confermando i sospetti di Delia – Forse abbiamo sbagliato ad andare in spiaggia.

– Mi ha fatto piacere.

C'era una tale tranquillità e sincerità nel modo in cui l'aveva detto, che Delia non poté rimproverarlo, seppure quando ci ripensava una parte di lei fosse ancora irritata.

– Avrei dovuto fare più attenzione a quello che faceva Iason – insistette, facendo strisciare gli scarponi neri sulla polvere della strada.

– Non ti incolpo di nulla.

Strinse le labbra, e spostò altrove gli occhi chiari. – Invece dovresti. Avrei dovuto tenerlo d'occhio, ultimamente non pensa troppo a quello che fa.

Non sapeva perché, ma Delia sospettava si aspettasse un rimprovero. Si chiese se fosse possibile che i Guerrieri pensassero che qualcuno fosse sempre pronto a fargli la paternale.
Ricordò gli anni dell'Accademia militare pieni di urla e rimproveri, e non si sorprese. – Stai tranquillo, non sono arrabbiata, davvero.

– Non mi aspettavo che tu lo fossi – fece un mezzo sorriso – Sei una Governante. Ma questo non toglie il fatto che qualcuno si sarebbe dovuto scusare comunque.
Non era sicura che con quel qualcuno intendesse se stesso.

Passando davanti alla via dell'ospedale e della prima scuola i capelli biondi di Elena attirarono la sua attenzione. La vide uscire dal cancello dell'istituto, e bloccarsi non appena anche lei l'aveva intravista.
– C'è qualche problema? – chiese Damiano, che si era fermato con lei davanti al bivio e guardava entrambe con circospezione.

C'era un problema? Forse, in ogni caso non qualcosa che lui doveva sapere.
Riprese a camminare verso la strada che saliva sulla collina, sperando che Damiano non si fosse accorto che aveva evitato di rispondere perché non voleva infrangere il giuramento con una bugia.

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