Capitolo 2 - CAVALLI E CAVALIERI PARTE 2

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L'erba uniforme era tagliata da quattro stradine sassate che si univano a croce in una fontana di marmo. Una manciata di pesci arancioni, più piccoli di un palmo, lanciavano sotto il sole fasci di luce, come lingue dorate che sguizzavano nell'acqua.

Delia salì la scalinata d'entrata e superò le dodici colonne di pietra a capitello uniforme, sentendosi il centro di interesse di tutti gli sguardi curiosi degli studenti che l'avevano vista arrivare dall'esterno.

– Ce l'hai fatta.

Alex la stava aspettando nel salone già allestito per il giuramento mattutino. I drappi dorati erano stati srotolati dalle balaustre del primo piano e accanto a loro i collaboratori aspettavano annoiati di liberare al più presto il salone affollato.

Prima che iniziasse il pezzo musicale d'inizio, gli studenti parlottavano, ma la confusione non era minimamente comparabile a quella del mercato, notò Delia. Non seppe se fosse così perché si sforzassero o perché semplicemente faceva parte della loro indole.

Un paio di sedie li separavano da un gruppo di ragazzi della loro età, che discutevano di un problema di matematica che avevano avuto in compito dal professor Artimos. Delia sentiva che ogni tanto i loro sguardi le bruciavano sulla pelle: sapevano tutti quello che succedeva e, anche se non fosse stato così, l'averla vista arrivare con un Guerriero sarebbe bastato a fare domande.

– Come stai? – le sussurrò Alex, piegandosi verso di lei.
Avrebbe voluto rispondere con "bene" e lasciar correre, ma si accorse che non riusciva nemmeno a dire le bugie più semplici.

– Sono un po' confusa – disse soltanto. Fu l'aggettivo che trovò più adatto, e pensò che aggiungere dettagli fosse inutile.

Lo vide passarsi la mano tra i ricci scuri. Si chiese se forse quegli sguardi non infastidissero anche lui. Di sicuro doveva essere così, Alex doveva mantenere un profilo perfetto per entrare alla scuola di specializzazione.

– Quanto pensi che durerà? Voglio dire, non ti lasceranno mica dormire nella casa di una balia per sempre, no?

– È probabile che si risolverà tutto prima di quanto immagini – lo rassicurò, perché era quello che sperava. Poi alzò le spalle. – In caso contrario, be', lo sai, saprò come farcela.

Adesso faceva correre lo sguardo su alcuni insegnanti che giravano avanti e indietro per finire le cose che avevano lasciato in sospeso prima dell'inizio delle lezioni.

– Basta che non fai cose stupide.

Delia quasi scoppiò a ridere. – Proprio tu mi fai la ramanzina? Sbaglio o mi hai portato una pesca di contrabbando la scorsa settimana?

Alex lanciò uno sguardo furtivo con quei suoi occhi di bronzo al gruppo di ragazzi accanto a loro, forse avendo paura li avessero sentiti. Poi guardò lei, e conosceva così bene quegli occhi che non aveva problemi a sostenere il suo sguardo.

– Non è la stessa cosa, Delia. Mangiare una pesca non è niente, non ci rischio la morte per un frutto. Tu fa' attenzione a non metterti nei guai.

Ma che sta dicendo?

Erano alleati da sempre praticamente, ma di certo non avevano mai dimostrato preoccupazione l'uno verso l'altro, o almeno, non a voce alta come i Produttori. Delia ci pensò bene e si rese conto che non era poi così strano che un alleato potesse aver detto una cosa simile. Alex aveva bisogno della sua compagnia così come lei della sua.

– Non mi legherò le mani da sola, stai tranquillo – lo rassicurò con uno sguardo gentile – Ma non posso prometterti che non cercherò un modo per raggirare leggermente la cosa se sarà necessario, per impedire che esca di testa.

Per non finire come Elena.

Alex non sembrava contento e si sistemò i ricci scuri dietro le orecchie.
Delia, d'altra parte, avrebbe voluto buttarla sul ridere, magari con un commento sarcastico - aveva visto concludersi così molte conversazioni scomode - ma si rese conto di avere l'inventario vuoto: non c'erano mica regole fisse come per risolvere un'equazione matematica.

Il pezzo musicale iniziale partì con i violini, facendo zittire tutti.

– Non ti preoccupare – ripeté ancora prima di rivolgere lo sguardo verso le scale e al libro delle leggi aperto su una colonna tagliata a metà.

Luce di verità, garante di pace, lo Stato è puro e senza macchia.
Noi Governanti lo proteggiamo, lo guidiamo verso quelle idee di perfezione che il filosofo Platone ci ha tramandato.
In nome del nostro fondatore, come suoi eredi e successori, tutto questo noi giuriamo:
Di rispettare lo Stato come nostro unico genitore.
Di rispettare le leggi come i comandi degli dei.
Di non mentire.
Di non origliare.
Di non rubare.
Di condividere gli averi con tutti i compagni.
Di non impegnarsi in relazioni egoistiche.
Di non fare nulla volto solo al nostro proprio bene.
Di pensare sempre al bene dello Stato e a quello soltanto.
Di non allontanarci dal cammino che ci è stato dato.
Di fuggire da chi infrange la legge come da chi è colpito da una malattia contagiosa.
...

Per fortuna il Giuramento aveva impedito ad Alex di tornare sull'argomento.

La giornata si prospettava normale come quelle di sempre: fece un'ora di matematica con il professore Artimos, un uomo tozzo e senza collo che aveva una voce nasale al limite del sopportabile, e una di farmacologia. Durante musica, sotto consiglio della professoressa Melosa, Delia era tornata al flauto traverso dopo una pausa con la lira, per la quale era totalmente negata.

– Dove stai andando? – chiese quando vide Alex camminare veloce oltre la classe del professor Logotaco. Aveva in mano il camice da Laboratorio e le fece un sorriso peperino, che illuminò così bene la pelle abbronzata.

– Pacco filosofia – disse alzando il camice.

– Vai al laboratorio? Come mai?

– Vogliono che finisca il progetto prima di sabato.

Delia si spostò più in là per far passare degli studenti che si spintonavano per entrare in classe.

– Comunque credo di perdermi solo un'altra strigliata – continuò e dondolò le braccia, come se il suo corpo diceva che non gli interessava affatto – Hai visto quanto era arrabbiato la scorsa volta? Aveva detto che oggi avrebbe portato gli esami corretti. Scommetto che non è molto contento.

Gli occhi nocciola di Delia guizzarono sui suoi, cercando di capire se avesse intuito correttamente il suo sconforto. – Ti è andato male?

Alex alzò le spalle. – No, macché. Però, credevo fosse andato meglio. Non capisco mai cosa vuole, e sì che avevo scritto le stesse cose dell'anno scorso. Ormai faccio affidamento solo sui miei voti in scienze.

Il suo volto tradiva una certa delusione, ma cercò di nasconderla guardando la fila di studenti che si avvicinava dietro Delia. – A te com'è andata invece?

– Bene, credo.

– Ma certo, cosa te lo chiedo a fare. Ti adora. – lo disse con un tono troppo schietto e Delia sospettò che fosse infastidito. Ma la guardò e le sorrise, forse si era accorto che era stato troppo brusco e non voleva di certo sembrare invidioso: d'altronde aveva sempre avuto più possibilità di entrare nel Consiglio di quelle che avrebbe mai potuto avere lei.

– Adesso è meglio che vada. Ci vediamo dopo, se finisco in tempo.

Delia lo salutò con un cenno del capo e si infilò in classe.

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