VENTOTTO

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Damiano aveva affrontato numerosi traumi negli ultimi giorni e pensava di essere ormai pronto a tutto, ma la realtà lo sorprese ancora una volta.

Le porte dell'ascensore si aprirono su una stanza semicircolare vuota, con un pavimento in lucido marmo bianco e un soffitto dello stesso colore. La parete circolare era composta interamente da grandi vetrate che si affacciavano su un immenso giardino ornato di folti d'alberi e aiuole fiorite. Il tutto era illuminato dal cielo artificiale più vivido che avesse mai visto. Le rare nuvole erano riprodotte in modo perfetto, il Sole artificiale era di un giallo così intenso che si faticava a fissarlo, anzi abbacinava a tal punto che era proprio impossibile farlo senza dover distogliere lo sguardo.

Damiano fece qualche passo verso le vetrate, poi si avvicinò ancora fino a toccarle, infine ci appoggiò il naso come un bambino davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli.

"Non si passa di là" gli disse Alberto con voce impaziente "La porta è questa qui."

Il sosia si avvicinò a un punto centrale della vetrata e due ampi pannelli di vetro scorsero di lato creando una larga apertura. Un refolo di vento irruppe nella stanza e lambì Damiano che subito rabbrividì.

"Che livello è questo?" chiese con voce incerta.

"Zero, la superficie. Noi stiamo qui."

"Vuoi dire che quello è il Sole? Il Sole vero, quello nello spazio?"

"Be', certo! Che domande fai? Conosci un altro Sole?"

Alberto uscì all'aria aperta e si mise a camminare verso l'inizio di un vialetto. Damiano cercò di seguirlo ma quell'aria in continuo movimento gli faceva paura. Gli girava la testa, sentiva le gambe deboli. La luce che irrompeva attraverso le vetrate era troppo intensa per i suoi occhi. Voleva tenerli spalancati, voleva uscire e saziarsi di tutto quel calore che scaldava la sua pelle, ma il suo corpo non obbediva. Dovette socchiudere gli occhi per il bruciore mentre le lacrime sgorgavano copiose. Il venticello continuava a sfiorare la sua pelle, a muovere i suoi capelli e i suoi vestiti. Si sentiva risucchiare da quella porta aperta, desiderava più di ogni altra cosa poterla attraversare, ma allo stesso tempo ne aveva un assurdo terrore.

Il suo cuore iniziò ad accelerare i battiti, dei fischi intensi e acuti si impadronirono delle sue orecchie, la testa prese a vorticare sempre più forte e scivolò addosso alla vetrata fino a raggiungere terra svenuto. Alberto Prosdocimo ritornò verso di lui e rimase a fissarlo per qualche attimo.

"Che scocciatura, che terribile scocciatura!" disse camminando avanti e indietro senza saper che fare.

Si accucciò vicino a Damiano e provò a chiamarlo, poi si rialzò e camminò in cerchio.

"E adesso che faccio? Lo lascio lì?" si chiese.
Di nuovo si inginocchiò vicino al suo clone svenuto e gli assestò qualche schiaffetto sulle guance.

"Accidenti, maledizione! Svegliati, su."

Alberto non era esattamente esperto nell'aiutare e soccorrere gli altri. Per essere precisi non aveva la minima idea di cosa fare. Si alzò e si guardò attorno. Gli pareva di ricordare che l'acqua fresca poteva essere utile, così corse verso una fontana poco distante e raccolse dell'acqua con le mani unite a coppa. Ritornò fino a dove giaceva Damiano, per scoprire che fra le mani non gli erano rimaste che poche gocce. Le schizzò sul viso del suo clone senza sortire alcun effetto, quindi ritornò verso la fontana nel tentativo di migliorare le sue prestazioni idrauliche.

Nel frattempo Damiano aprì gli occhi e si guardò intorno. Trovava commovente quell'atmosfera tiepida e dolce che tanto aveva desiderato, ma si sentiva ancora debole. Doveva aver avuto un attacco d'ansia. C'era un nome specifico per la paura di stare all'aria aperta, ma in quel momento non gli sovveniva. Evidentemente la simulazione in cui era sempre vissuto non lo aveva preparato alla vera superficie della Terra. Strisciò carponi fino alla porta e si sistemò in qualche modo a sedere sugli scalini. Alberto stava ritornando e come vide Damiano sveglio, scosse le mani e se le asciugò con aria indifferente sui pantaloni.

"Vedo che ti sei ripreso, bene, andiamo, su."

"Dammi un attimo..." rispose Damiano che non si sentiva ancora in grado di alzarsi.

"Be', io non posso perdere tutta la mattina appresso a un clone, ho cose della massima importanza da fare. La casa è quella, quando ti senti meglio, raggiungimi nelle mie stanze."

Damiano lo guardò avviarsi per il vialetto che conduceva a una specie di immenso castello in pietra grigia, imponente e irto di guglie e di pinnacoli. La testa smise di girargli quasi subito e lui si alzò e provò a fare qualche passo. Constatato che tutto funzionava si avviò anche lui verso l'enorme casa.

A parte i postumi dello svenimento, era ancora piuttosto sconvolto dal personaggio che portava in giro la sua stessa faccia. Scoprire di essere un clone del figlio del suo padrone era l'ultimo tassello che mancava per dare un senso alla sua assurda vita. Non riusciva però a capire come mai si sentisse così profondamente diverso da quel pallone gonfiato vanesio e volubile con cui condivideva interamente il patrimonio genetico. In teoria avrebbero dovuto essere uguali, e invece lui percepiva Alberto come un individuo profondamente sciocco.

Comunque fosse, ora sentiva di aver raggiunto la sua destinazione: era in superficie, la luce del sole riscaldava la sua pelle e, clone o non clone, stava per ricongiungersi a suo padre nella sua casa. Aveva la netta sensazione che l'incubo iniziato con la rottura del visore stesse finalmente giungendo al termine.

Raggiunto un imponente portone stette per un attimo a fissare la serratura a riconoscimento di impronte. A rigor di logica lui doveva avere esattamente le stesse impronte digitali di Alberto. E allora perché il dottor Ruperti gli aveva intimato di non usarle mai? Che sapesse chi lui era veramente? Forse il problema era solo la mancata corrispondenza fra il visore del dottore e le impronte del rampollo Prosdocimo, o c'era dell'altro? Era piuttosto dubbioso, ma concluse per l'ennesima volta che non c'era altro mezzo per sapere. Doveva provare.

Appoggiò il dito sulla serratura e una voce suadente disse: "Buongiorno signor Prosdocimo, bentornato a casa."

La serratura emise uno scatto e l'imponente battente si aprì verso l'interno. Quel che videro i suoi occhi superava di gran lunga qualsiasi parto della sua immaginazione.

 Quel che videro i suoi occhi superava di gran lunga qualsiasi parto della sua immaginazione

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Realtà virtuale - Il viaggio di DamianoWhere stories live. Discover now