QUATTRO

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Damiano non sapeva quanto tempo fosse rimasto seduto in corridoio. L'apparizione della donna lo aveva sconvolto. Era tutto completamente assurdo, privo di senso.

Niente blackout, ne era ormai convinto. Doveva essere qualcos'altro, ma la sua capacità di formulare ipotesi era esaurita, aveva dato fondo alla sua limitata fantasia.

Aveva bisogno di luce. Ne aveva una necessità pratica e un profondo desiderio psicologico.

Era un'assoluta follia, un'ipotesi completamente demente e insensata, ma se per la donna era tutto normale forse lo era anche per le luci di emergenza. In teoria, ma ormai dubitava anche delle sue più semplici supposizioni, togliendo loro la corrente avrebbero dovuto accendersi. Non ne era sicuro, tutt'altro, ma valeva senz'altro la pena di fare un tentativo.

Ritornò carponi verso il suo appartamento, tastando con la mano il muro per trovare l'apertura della porta. Si avvicinò al suo unico amico, il prodigioso MK23. Tolse la punta a lama, la ripose in mezzo alle altre e scelse al tatto una punta a stella di dimensione media. Si alzò in piedi e con l'avvitatore ben saldo in mano si diresse verso la lucina verde più vicina.

Accarezzò la plafoniera di emergenza in tutte le sue parti fino a percepire due piccoli incavi simmetrici alle estremità. Se non ricordava male in fondo a quei buchi dovevano esserci delle comuni viti a stella che fissavano la lampada alla scatola di plastica affogata nel muro.

Infilò la punta dell'avvitatore nel primo buco e la sentì ingaggiare il metallo della vite. Premette il grilletto e lasciò andare l'avvitatore fino a quando fu sicuro che la vite fosse del tutto svitata. Ripeté l'operazione con l'altra vite e afferrò la plafoniera con tutte le dita. Applicando un pochino di forza la lampada uscì dalla sua sede e gli rimase in mano.

Damiano la tirò verso di sé e dopo pochi centimetri incontrò la resistenza dei fili che la collegavano al buco nel muro. Pensò a come fare. Toccare i fili alla cieca non era una buona idea. Gli mancava solo di prendere una scossa, o peggio, di concludere la sua vita fulminato. Che fine misera!

Decise di dare un violento strattone. I fili si sarebbero staccati e la lampada si sarebbe accesa. Questo era il piano. Sperò con tutta l'anima che funzionasse. Ormai desiderava la luce come un naufrago desidera toccare la terraferma, eppure esitava. Aveva paura di quello che stava per fare, aveva paura di fallire e di perdere anche quella speranza, che al momento era anche l'unica che aveva.

In piedi, con un braccio proteso a reggere la lampada di emergenza appesa ai fili e l'avvitatore nell'altra mano, decise di mettersi più comodo e pensare a cosa avrebbe fatto in caso di fallimento.

Doveva posare l'avvitatore, ma non voleva gettarlo a terra. D'altro canto non voleva neppure lasciare la lampada per paura di un contatto o di un cortocircuito. Gli sovvenne che l'MK23, tra le altre sue caratteristiche, aveva anche un pratico gancio al lato del corpo motore. Lo utilizzò per appendere l'attrezzo alla cintura dei pantaloni e così poté afferrare la lampada con tutte e due le mani.

Continuava ad avere bisogno d'aiuto. Forse sarebbe stato più intelligente bussare a qualche porta. Tre appartamenti più in giù, dallo stesso lato del suo, abitava Fabrizio.

Fabrizio era un suo collega e un suo amico, se così si poteva chiamare uno con cui era andato a bere una birra tre volte in cinque anni, ma magari sarebbe stato più disposto dell'odiosa donna ad ascoltarlo. In fondo bastava che si convincesse a chiamare l'assistenza della VRCorp per lui, non era poi questo grande sforzo.

Pensò a se stesso che strisciava al buio lungo il corridoio per cinquanta metri tastando il muro per sentire le porte, contandone una, due, tre, per poi bussare nella possibilità Fabrizio non ci fosse o che anche nel suo appartamento fosse andata via la corrente.

Realtà virtuale - Il viaggio di DamianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora