DIECI

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Istintivamente lasciò cadere lampada e avvitatore, si portò le mani alle orecchie e socchiuse gli occhi. I suoi sensi, resi più acuti da giorni di buio e silenzio, furono sovraccaricati dalla baraonda che si svolgeva di fronte a lui.

Decine di uomini e donne, avvolti in abiti dalle diverse foggie ma tutti del medesimo color sabbia, con la pelle livida e i visori davanti agli occhi, passavano davanti al suo naso. Le auto sfrecciavano sulla strada poco più in là, i passanti parlavano, gridavano, camminavano chi in modo rilassato, chi con il passo deciso di chi deve andare da qualche parte, in una cacofonia di suoni che rimbombava in modo intollerabile nelle sue orecchie.

Dopo averlo superato, una tizia disse all'uomo di fianco a lei: "Cos'è questa puzza? Ne hai mollata una?"

Lui rispose: "Ma ti pare? La sento anch'io, ma ti giuro che non c'entro. Saranno le fogne."

Era chiaro che non lo vedevano, ma senza saperlo parlavano di lui. Ora che respirava dell'aria pulita iniziava a rendersi conto del fetore che emanava. Era un problema da risolvere al più presto, così come la sua nudità. Sapeva di essere invisibile per tutte quelle persone e non lo disturbava affatto l'avere i gingilli all'aria, ma gli mancava terribilmente qualcosa a cui appendere l'avvitatore.

Di fronte a quello spettacolo di vita quotidiana, pur reso anomalo dall'assenza di colore, per un lungo attimo desiderò di avere ancora il suo visore, di essere una di quelle persone serene e incoscienti che vivevano la loro vita finta a falsi colori.

Poteva ancora rientrare in quel mondo. Sarebbe bastato far fuori uno qualunque e sostituirsi a lui. Forse era una soluzione estrema, o meglio richiedeva un minimo di riflessione prima di essere attuata, ma gli era comunque chiaro che doveva servirsi di una o più di quelle persone per risolvere i suoi problemi più urgenti.

Prese il coraggio a due mani, raccolse luce e avvitatore e si mosse dalla porta. Scoprì che non gli era difficile schivare la folla, perché era la folla che evitava lui. L'espressione di quelli che gli si avvicinavano era quella di chi aveva appena pestato una cacca. Arrivati a pochi metri da lui, invariabilmente si spostavano per allontanarsi dall'odore.

Passeggiò per un breve tratto osservando la gente, le auto, i negozi. Cercò l'individuo adatto agitando in giro la sua lampada. Doveva essere un uomo di corporatura media come lui, e che stesse ritornando a casa.

Un taxi, riconoscibile solo dalla targhetta grigia sul tetto, si fermò scaricando un uomo ben vestito con in mano una ventiquattr'ore, che si diresse di fretta verso una porta. Damiano colse l'attimo e si infilò nella fessura che si stava chiudendo dopo il suo passaggio.

"Cazzo è 'sta puzza?" mormorò il tizio annusando intorno nell'atrio del condominio, poi fece spallucce e si avviò su per le scale.

Damiano lo osservò meglio: era un po' più vecchio di lui, lo si vedeva dai capelli striati di bianco e dalla pelle del collo rilassata, ma la corporatura era praticamente identica alla sua, i suoi vestiti gli sarebbero andati a pennello. Lo seguì per le scale fino al terzo piano e poi nel corridoio fino a che si fermò per premere il dito sulla serratura del suo appartamento. Non appena la serratura scattò, Damiano gli fu addosso e gli calò sulla nuca l'avvitatore dalla parte della batteria. L'uomo cadde a faccia in giù attraverso la soglia. Damiano lo scavalcò, posò a terra avvitatore e lampada, prese l'uomo per le ascelle e lo trascinò dentro.

L'appartamento era piuttosto simile al suo, anche se i grigi mobili erano disposti in maniera differente. La finestra era nel medesimo posto e così la porta che portava alle camere.

Realizzò solo in quel momento che aveva fame, tantissima fame, e anche molta sete. Non sapeva nemmeno da quanto tempo non mangiava. Forse i Liberi gli avevano dato qualcosa per aiutarlo a riprendersi mentre era incosciente, ma preferiva non chiedersi cosa potesse essere.

Realtà virtuale - Il viaggio di DamianoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora